Nato per sorprendere, talmente talentuoso da non riuscire a comprimere questa dote in modo evidente, Sean Bowie o come diavolo si chiama la faccia dietro Yves Tumor rinnova il suo recente desiderio di sfornare hit, già sperimentato nel precedente “Heaven to a tortured mind”, con questo nuovo quinto album, dal titolo estenuante, un non titolo, nelle intenzioni dell’autore usato a mo’ di profeia ironica, ma chiaramente specchio del proprio enorme ego, gioco di specchio richiamato anche in copertina, entreneuse di un viaggio musicale al solito controverso ma affascinante.

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Yves Tumor appartiene a quella categoria di artisti recenti che partiti da brillanti idee anche di avanguardia musicale, di una contaminazine digitale rumoristica e per palati fini nel suo caso, approdano quasi di necessità ad uno spazio molto più definito in ambito mainstream, dove il caos evolutivo dell’ispirazione di transizione non sempre riesce a delinearsi, ma è un pò nel tentativo stesso di plasmare un qualcosa di originale che stà la curtiosità e il senso di operazioni come queste.

YT in tutto questo ci sguazza alla grande come un Prince dei nostri giorni con annesse frivolezze e falsetto, movenze e duttilità, dentro un contesto dove conta a 360 gradi l’attiutdine creativa, senza limiti ne’ dipendenze, che potevano avere i primi King Crimson, si ascolti ad esempio “Purified my fire”, impetuosa, vulcanica capace di condensare le diverse forze al suo interno, canzone che parte in un modo e che poi spiazza per il ritmo forsennato in corsa, presagio di chissà quale fine.

Quando invede centra delle hit, lo fa riesumando le chitarre grunge con un gusto arioso e coinvolgente dei migliori Pumpkins, in “Meteora Blues” e “Parody”, splendide nella loro veloce riconoscibilità, mostrano una calibratura inattesa dentro un sentire magmatico, fanno affiorare delle sensazioni finalmente condivisibvili con l’autore che insomma deve al periodo d’oro del rock anni 90 molto della sua formazone adolecenziale.

Ma le cose più interessanti arrivano dove si intravede un risultato originale di sintesi di questo miscuglio di generi che in fondo è la cifra di questa versione di Yves Tumor, in brani come “Heaven Sorrounds us like a hood” o la finale “Ebony eye” ,dove falsetti black accompagnano chitarre glam in climax esplosivi con una tensione che si libera ascolto dopo ascolto, un rock alternativo tout court melodico ma distorto, sempre pronto a prendere la tangente ma incredibilmente contenuto nei massimo 4 minuti di durata dei brani.

Un disco da ascoltare e riascoltare, dove gli intenti e le aspettative in gioco a volte si scontrano con esiti non sempre comprensibili se non trascurabili e a volte si ha il dubbio che la montagna possa aver partorito il topolino, ma qui c’è del talento, qualcosa che puzza vagamente di nuovo e guai a Dio a lasciarlo perdere.