Matthewvetter, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Lo scorso settembre i Built To Spill sono ritornati con il loro nono LP (e primo per la Sub Pop Records), “When The Wind Forgets Your Name”, dopo un silenzio durato oltre sette anni.

In questo disco Doug Martsch ha lavorato insieme ai brasiliani João Casaes (basso) e Lê Almeida (batteria), ma la formazione che accompagna l’unico componente originale della storica band indie-rock dell’Idaho è ora già cambiata e comprende invece Melanie Radford al basso e Teresa Esguerra alla batteria.

Stasera ci troviamo al Locomotiv Club di Bologna per quella che sarà la prima delle loro tre date italiane: anche se non sold-out come per la loro ultima esibizione qui di qualche anno fa, la venue di via Serlio è decisamente piena con un’età media dei presenti che si aggira tra i 40 e i 50 anni.

La corposa setlist di oggi in realtà non verte in maniera decisa sul loro lavoro più recente, ma spazia per tutta la loro discografia, permettendo al gruppo di Boise di regalare ai propri fan un assaggio da quasi tutti i suoi album, aggiungendo inoltre anche un paio di cover.

Quando entriamo nel locale mancano pochi minuti alle dieci e i tre musicisti statunitensi sono già sul palco pronti per iniziare a suonare: ad aprire la serata ci pensa “The Plan”, estratto dal loro quarto LP, “Keep It Like A Secret” (1999) ed è subito un tuffo nel mare di distorsioni create dalla potente chitarra di Marsch, che spesso sembra voler duellare contro il basso della Radford. La interminabile jam che caratterizza il pezzo mette in luce le qualità del trio dell’Idaho che, in mezzo alle rumorose sensazioni alt-rock, riesce comunque anche a dipingere ottime e gradite melodie.

Poco dopo ecco “Fool’s Gold”, uno dei due brani presi dal loro lavoro più recente presenti in setlist oggi: l’acida voce di Doug si fa più sofferente e malinconica così come l’atmosfera, mentre trovano sempre spazio alcune jam ed eccellenti sensazioni melodiche disegnate con la sei corde del frontman.

La successiva “So And So So And So From Wherever Wherever” è una bella sorpresa per i fan felsinei perché, stando alle statistiche, non aveva fatto più parte delle setlist dei Built To Spill da tantissimi anni: arriva una botta di adrenalina rock con rumorose distorsioni dai toni poderosi.

Con “Gonna Lose”, sempre da “When The Wind Forgets Your Name”, la storia non cambia con riff decisamente heavy che sembrano riportarci nel mondo alt-rock degli anni ’90 e sono una perfetta istigazione al pogo.

“Life’s A Dream”, da “There Is No Enemy” (2009), invece, abbassa decisamente il ritmo e ci regala una pur breve pausa dai toni riflessivi e perfino alcune armonie, sebbene non manchino le solite lunghissime jam, in cui i tre statunitensi possono esaltare la loro ottima tecnica.

“Never Be The Same”, sebbene abbia sensazioni melodiche pulite e davvero apprezzabili, è un altro momento di pura adrenalina e potenza, in maniera decisamente maggiore rispetto alla sua versione su disco; “Carry The Zero”, infine, dona ai fan emiliani gli ultimi sprazzi di energia della serata con distorsioni pazzesche e l’ennesima infinita jam.

In “Goin’ Against Your Mind”, unico encore oggi, i tre componenti della band dell’Idaho sembra quasi voler giocare tra loro, passando nel giro di pochi attimi da ritmi folli ad altri più riflessivi per poi tornare ancora a spingere al massimo l’acceleratore prima della fine del brano.

Un concerto pieno di adrenalina in cui Doug ha dimostrato che, chiunque ci sia ad affiancarlo in tour, nei live-show dei Built To Spill non mancano mai la solidità, la determinazione e la qualità.