Era il 2011, la FNAC di via Torino, a Milano, aveva organizzato uno showcase in occasione dell’ultimo album di Ben Harper.

Quello è stato il mio primo incontro con il cantante di Pomona.

Ricordo ancora il suo ingresso sul palco scarno, Ben Harper sotto una luce occhio di bue accompagnato da uno sgabello, la sua chitarra acustica e l’immancabile cappello. Show breve, canzoni acustiche ed il pubblico rapito dal suo modo di fare “angelico”, etereo, semplice ma impeccabile.

Credit: Michael Halsband

Sono passati diversi anni ma, tutto ciò che mi aveva colpito in quel primo live, lo si ritrova interamente in quest’ultimo album. 

Tutta la magia naturale, la calamitante forza travolgente di suoni così “delicati”.

“Wide Open Light” è un lavoro obbligato, necessario, che si muove con l’inerzia di una carriera trentennale. Ben Harper si spoglia di tutte le sovrastrutture, elimina il superfluo e si mette in luce nella sua pura essenza: chitarra&voce soft.

La soluzione più semplice è quella giusta” sembra voler dimostrare.

C’è tanta chitarra, arpeggio costante e la slide guitar che ci riporta direttamente nel folk /rock, un viaggio nelle radici del genere con venature blues.

Siamo davanti al classico effetto AC/DC: i fan più puri saranno contenti, i detrattori si allontaneranno sempre di più.

Un piccolo limite potrebbe essere la mancanza di variazione, l’approccio è costante su tutti i brani e tutti i brani seguono una linea unica, sempre.

Ben Harper si discosta dal suo ultimo album dello scorso anno e sembra riprendere il filone dei suoi lavori precedenti: “No Mercy In This Land, album blues/armonico scritto e suonato con Charlie Musselwhite e, soprattutto, “Childhood Home” prodotto con la partecipazione della madre.

Rispetto ai risultati precedenti, “Wide Open Light è ancora più scarno, non c’è una sezione ritmica, non c’è niente di elettrico e non ha feat, se non per il singolo “Yard Sale”.

“Yard Sale” ha il quadruplo degli ascolti rispetto alle altre canzoni, grazie al feat con Jack Johnson, che si infila perfettamente nel tessuto sonoro acustico. Su Youtube c’è un video del brano, eseguito live in salone, in cui è molto facile notare la chimica disarmante tra i due cantanti. Le voci si sovrappongono creando una colonna sonora perfetta, da film americano imbevuto di belle speranze.

Gli altri brani invece sono più solitari, Ben Harper parla del suo amore, della figlia, del padre scomparso e delle speranze di cambiamento.

“8 minutes” ha un piglio leggermente diverso e più cupo, “Thank You Pat Brayer” invece, che chiude l’album, è un brano acustico al 100%, silenziosamente potente.

Ben Harper riesce a creare una magica carezza, ma senza stupire. Tutti conoscono il suo valore, soprattutto in versione acustica, forse proprio per questo è sempre lecito pretendere qualcosa di più innovativo da parte sua. 

In “Wide Open Light”, invece, sembra mettersi in stand-by, guidare con il pilota automatico su un’autostrada senza limiti di velocità.

Una guida sicura, con cappello Panama e pioggerellina malinconica estiva.