Credit: Riccardo Cavrioli

Colpo d’occhio spiazzante appena metto piede all’ Alcatraz di Milano. La presenza di ragazzi dai tratti asiatici è altissima: possiamo dire tranquillamente che compongono l’80% dei presenti. I LANY, così come altre formazioni alt-pop, pensiamo ai 1975 ad esempio, vanno fortissimo in quelle zone del mondo, sud-est asiatico, con sold out clamorosi, ma non pensavo che, di riflesso, ci fosse una situazione simile anche qui a Milano. Ripeto, cosa davvero particolare e inaspettata.

Detto questo mi concentro sul palco per notare gli sforzi del povero Conor Burns, artista di supporto, per essere un minimo credibile. Sforzi inutili. Il buon Conor fisicamente pare uno stravagante incrocio tra Justin Bieber, Yungblud e un giovane Danilo Fatur dei CCCP. Sul palco si muove come un tacchino strafatto di LSD. Incapace di destare nel sottoscritto un minimo di interesse nè quando fa il finto punk nè quando usa la carta dell’ R&B. Un artista (oddio, parola fin troppo grande per sto tizio) pop che non tira fuori dal cilindro nemmeno uno straccio di melodia decente, no, non ci siamo…caro Conor rimandando, anzi, bocciato senza appello. Ovviamente un pubblico così ben disposto dispensa, invece, urla di approvazione. E Conor se la ride.

Tra la chiusura del miserrimo show di Burns e l’arrivo dei LANY ci pensa Taylor Swift a far cantare e ballicchiare i presenti, selezione musicale azzeccata: ormai la Swift si dimostra utile per tutto, anche per riempire le attese tra un live e l’altro, facendo il suo dovere di ben disporre i presenti a quello che sta per arrivare.

Ore 21.10. Si spengono le luci e sul maxischermo appaiono i volti di Paul Jason Klein e Jake Clifford Goss nel backstage, pronti a salire sul palco. Li seguiamo sul video nel loro percorso e…eccoli li, saltellanti e carichi come le molle on stage. Si va a incominciare con “Thick and Thin”.

Suono ottimale, telefoni alzati e boati ad ogni brano. Tutto che fila come previsto, potremmo dire. Paul non si risparmia. La voce piazza i giusti acuti e lui si diletta con buoni risultati tra piano e chitarra, catalizzando sguardi e fotografie. Non si perde tanto in chiacchiere c’è da dire, ma va dritto al sodo. Più il live va avanti più è impossibile non notare alcune cose. I pezzi più gettonati, quelli in cui il numero di cellulari alzati è esorbitante e i decibel dei presenti vanno su di giri, sono i classici del passato, ovvero “Thru These Tears”, “I Don’t Wanna Love You Anymore”, la stessa “Thick and Thin” già citatata (e mio brano preferito della band), “13” e naturalmente “ILYSB”, i meravigliosi brani insomma che riportano i presenti ai “primi” LANY, quelli più minimali, con quella capacità di usare pochi elementi ma decisivi, in bilico tra synth-pop ed R&B. Riproposti in maniera più che egregia, tra l’altro. Poi c’è il resto, con l’ultimo disco che viene saccheggiato in lungo e in largo (pure troppo, ma se non altro è stato dimenticato, senza rimpianto, il mediocre “gg bb xx”) e se in fase di recensione dell’album mettevo in luce come il lavoro cerchi di ritrovare alcuni suoni del passato, mescolandoli con ambizioni più pop-rock, ecco che il live dimostra come la bilancia della band propenda decisamente verso quest’ultimo aspetto. Però francamente dei LANY che rincorrono i Coldplay me ne faccio poco. Certo, tutto è piacevole e il gruppo ha un suono forte e potente che, come dicevo, tende a potenziare l’aspetto energico dei brani, ma continuo a pensare che i LANY corrano il rischio di perdere quella magnifica identità consolidatatsi con “Malibu Nights” e che ora si sta stemperando in rivoli e riverberi da pop-rock band. Non è un male assoluto, ci mancherebbe, ma mi spiace vedere come questi ragazzi ora prediligano giocare (anche forse contro il gradimento stesso dei propri fan) una partita su un campo fin troppo frequentato, alla ricerca di modelli vincenti da seguire più che di una vera identità (che avevano già trovato, tra l’altro!).

Ecco quindi che più di una volta sembra aleggiare il fantasma di Chris Martin in sala, mentre il finale di “I Pray” pare uscire dalla penna dei Something Corporate (il che la dice lunga) e nella chiusura con “XXL” la sensazione è di essere a un concerto dei Sum 41 piuttosto che dei LANY che parlano di cuori spezzati, ma, in fin dei conti, penso che anche le pene d’amore si possano stemperare con un po’ di sano pogo.

Momenti comunque piacevoli ce ne sono stati, ci mancherebbe altro, anzi, lasciatemi fare una nota di merito per il tripudio chitarristico, quasi shoegaze, di “Congrats” che sarà lontana anni luce dalle prime cose della band che adoro, ma se non altro li spinge verso lidi tutt’altro che furbi e radiofonici e in odor di Codplay o U2, e chissà che questo episodio così spiazzante e sonico non segni nuove rotte musicali per il futuro del gruppo. Non male anche la doppietta “Heartbreak Can Wait” e “3:22 A.M.” con l’ Alcatraz che diventa un vero e proprio club con la band che lavora molto bene sul ritmo ballabile, mantenendo bene la malinconia e l’aspetto notturno dei brani originali. Nota di demerito invece per l’esecuzione di “Malibu Nights”, perfetta fino alla parte finale, in cui poi viene maltrattata diventando roboante e fin troppo carica, quando invece bisognava mantenere assolutamente i toni bassi e struggenti, veri punti di forza della canzone.

1h e 30 minuti e le luci si accendono. I LANY mi sembra stiano abbracciando (in concerto) una via che non è di mio completo gradimento e anche l’esclusione dalla setlist dei primi singoli (storici!!!) mi fa sempre più propendere per questa mia idea, ma posso dire che non si sono affatto risparmiati e il gruppo è davvero rodatissimo, quindi il live è stato comunque piacevole, affermiamolo tranquillamente. Maxischermo usato bene, senza strafare, accentuando alcuni testi importanti. Non male l’idea (molto U2 da Zoo TV Tour) di una telecamera che, gestita da Paul, riprendeva pubblico e cantante stesso, riproponendoli sullo schermo.

Un paio di saluti finali, qualche faccia che non vedevo da tanti, troppi anni e mi ha fatto piacere ritrovare e poi me ne torno a Verona. Bene così dai.