Con un piede ben piantato nella tradizione del post-hardcore e l’altro che affonda in territori sonori inesplorati, i Porcelain di Austin irrompono sulle scene con un debutto che è un vero e proprio urlo dal profondo del cuore texano. “Vanity”, “Frozen Sea”, “Plastic” e “Disgrace” sono tra le tracce che più si distinguono in questo mosaico di rabbia e passione, dove ogni frammento musicale è un tassello di un quadro più ampio, una narrazione fatta di suoni che raccontano storie di dolore e resilienza.

Credit: Bandcamp

L’album non si accontenta di seguire le orme dei giganti del genere, ma anzi, le calpesta con vigore per creare un sentiero tutto suo. Il cantante e chitarrista Steve Pike (ex Exhalants) guida i Porcelain in un viaggio attraverso il post-hardcore più potente, sofferto e sanguigno, tanto rumoroso quanto ricco di sfumature.

Se quel che cercate è tranquillità, passate oltre. Questo è un disco per chi vuole sentirsi vivo, per chi cerca nel rumore e nella forza delle distorsioni una sorta di catarsi. I Porcelain non giocano sul sicuro: ogni traccia è un rischio calcolato, un salto nel vuoto che trova sempre una rete pronta a catturare l’ascoltatore.

In “Obi” troviamo un’apertura che è un manifesto, un inno che dichiara le intenzioni della band senza mezzi termini. La lunghissima “History” ci porta in acque più profonde, dove la quiete e la tempesta convivono in un equilibrio precario. “Invoices” è l’inquietudine fatta suono, un grido “melodico” che sembra alzarsi contro l’artificialità che pervade la nostra esistenza. La disperazione pura di “Disgrace” chiude il cerchio, lasciandoci con un senso di incompiutezza che è, in realtà, un invito a premere di nuovo play.

I Porcelain hanno creato un’opera che è al tempo stesso un pugno allo stomaco e una carezza all’anima. Un album pieno zeppo di elementi differenti (emo, post-rock, post-punk, noise e, più in generale, tutto il sound alternativo di scuola anni ’90) da ascoltare con attenzione e trasporto per cogliere tutti i contorni di un sound viscerale che è, senza dubbio, post-hardcore, ma che sa essere anche molto di più.