La delicatezza epica dei Palace. Già. Perché quello proposto dalla band londinese – giunta oramai al suo quarto album in studio – è un sound che ha un proprio tratto distintivo ben definito e che riesce a riconfermarsi, opera dopo opera, in maniera coerente e per nulla scontata.

Credit: Bandcamp

Un po’ come nel caso del nuovo disco pubblicato dai Nostri. “Ultrasound”, infatti, è un lavoro omogeneo e dannatamente variegato – ben prodotto, otto anni dopo l’ultima volta, dal redivivo Adam Jaffrey – nonché pregno di grandi note regali e di piccoli inni poetici dedicati alla “semplice” complessità del vivere quotidiano. Insomma, un ossimoro mica da poco.

Epperò, provando ad entrare ancor più nello specifico dei tredici brani che compongono la tracklist dell’album, non si può fare a meno di evidenziare tutta la solidità di un gruppo che sa decisamente il fatto suo. Poco da dire. “Bleach”, per esempio, era stato un assaggio concreto e oltremodo gustoso della strada intrapresa da Leo Wyndham e soci: ovvero, continuare il percorso iniziato dodici anni or sono ma con maggiore consapevolezza. Non solo.

Basti ascoltare pezzi quali “Son” o la stessa “Rabid Dog” per rendersi conto di trovarsi al cospetto di un album (e di una formazione) che non si limita di certo al compitino – oggi, peraltro, piuttosto diffuso – della raccolta di canzoni fini a sé stesse. Anzi. I Palace di “Ultrasound”, infatti, trasportano l’ascoltatore in un universo fatto di ritornelli giammai telefonati e di suoni caldi come pomeriggi primaverili.

Un pezzo come “Love Is A Precious Thing”, del resto, farebbe la fortuna di molte altre band anche più blasonate del quartetto britannico. Per chi scrive, tra l’altro, si tratta del vero e proprio highlight del disco, pieno com’è di rimandi eterei ai precedenti lavori della band . E cosa dire di “Goodnight, Farewell” se non che rappresenta la degna chiusura di un album dannatamente cool? Il fascino recondito di “Ultrasound” e più in generale dei Palace, sta proprio nel fatto di riuscire ad evolversi di volta in volta, di nota in nota, senza perdere mai di vista, però, le coordinate primordiali.

E di fronte ad un signor disco di siffatta completezza non possiamo fare altro che toglierci il cappello e sottolinearne l’indiscutibile sontuosità.