Patti Smith chiusa in una meditazione silenziosa, dinanzi alla tomba della Madre e poi a quella del Figlio, dopo aver deposto un mazzo di fiori, a testimonianza della sua stima, della sua vicinanza, del suo impegno e del suo amore, un amore ugualmente ribelle, ugualmente incondizionato, ugualmente appassionato, ugualmente distante dal vocio e dal chiacchiericcio, dai giudizi gratuiti e dalle sciocche accuse di un mondo che non era e non è ancora in grado di comprendere.

Credit: Steven Sebring

“Mi domando che madri avete avuto”, scriveva Pier Paolo Pasolini, una domanda apparentemente semplice, che, però, risuona, con forza e coraggio tutt’intorno a noi, atto cruciale di speranza, di fede e di dedizione. Una domanda che scava nelle nostre menti iper-connesse e nei nostri cuori stanchi ed affaticati. Un filo sottile che unisce il Soundwalk Collective, le sue sonorità minimali, fluide ed elettroniche; lo spoken-word vibrante e accattivante della cantautrice americana; la ricerca sperimentale di nuovi suoni; la volontà di ricercare sé stessi nelle opere cinematografiche e letterarie del passato ed arrivare a conoscere, nell’intimità romantica e struggente della loro profonda umanità, autori come Arthur Rimbaud, Charles Baudelaire, William Blake, Edgar Allan Poe ed, appunto, Pier Paolo Pasolini. Un legame, quello con il poeta, scrittore e regista italiano che è più di una banale fonte di ispirazione, ma è vera e propria partecipazione fisica, emotiva, sensoriale ed onirica a quello che sarebbe divenuto l’immaginario musicale, sentimentale, sociale e civile di Patti Smith.

“Correspondences” è un progetto che oltrepassata i limitati confini dello spazio, della geografia e della politica, è un progetto che evolve e cattura nuove forme di vita, nuove idee, nuove filosofie, nuove narrazioni umane, senza, però, dimenticare il peso e le conseguenze delle nostre scelte e delle decisioni passate: “se fossero lì, mentre voi scrivete il vostro pezzo, conformisti e barocchi, o lo passate a redattori rotti a ogni compromesso, capirebbero chi siete?”.

Le parole di Pasolini echeggiano dentro di noi, gli occhi della Madre sono gli occhi del Tempo, rappresentano un orizzonte sconfinato e pulsante di ricordi, di sapori e di profumi, che ci rammenta quello che eravamo e quello che, purtroppo, siamo diventati, ostinandoci a seguire sempre il più ricco, il più forte, il più prepotente, il più violento ed il più armato. “Pasolini” non è, dunque, solo un nome famoso, non è solo una canzone, non sono solo le sue atmosfere elettroniche, non sono solo ballate di madri e parole, ma è, soprattutto, la capacità di ritrovare la compassione perduta e dimenticata, quella necessaria a liberarci, finalmente, dalle tossiche catene di servilismo e di dipendenza alle quali, stupidamente, ci siamo lasciati vincolare.