Oh, non mi è piaciuta l’ultima infornata di fotogrammi, quelli dall’elevazione in poi per capirci. E’ l’unica cosa che mi ha lasciato un po’ così.
Non è un brutto finale, anzi. Anche mimicamente, funge da eiaculazione, da liberazione, che a prescindere dal poi, che non ci è dato conoscere, risolve la tensione e la relazione tra i due protagonisti. Ai quali viene detto, da Tashi (il personaggio di Zendaya), il tennis è una relazione.

E quindi, finale piaciuto o meno, film letteralmente perfetto. Teso, tesissimo, al punto da mozzare il fiato. Eroticamente e in termini di suspence.
Con i flashback e i fash forward che arretrano e avanzano imprevedibili, concitati e affannosi come un tennista, ora intento a difendere la sua metà campo ora all’arrembaggio dell’altra.

Reznor
e Ross pompano techno come non ci fosse un domani, aizzando sia la tenzone sportiva che quella dialogica. E’ la loro migliore prova, al pari solo dell’inarrivabile lavoro fatto per “The Social Network“.

Guadagnino dirige gli attori e i corpi con il suo occhio morboso, fa guizzare battute e addominali sudati come fosse in pieno controllo di ogni muscolo dei suoi interpreti.
La parte tennistica finale con le soggettive alternate di giocatori, spettatori e finanche della palla è una roba videoclippara, ma tecnicamente totalizzante. In definitiva: siamo al livello, altissimo, di “Call Me By Your Name“.

Da domani mi metto a rompere il cazzo a lavoro per fare mettere in commercio le meravigliose divise annisettantose di Art. Scherzo, che così in alto non ci posso arrivare.