La fine dell’estate britannica arriva d’improvviso. E mi coglie un po’ impreparato, devo essere sincero, nonostante gli anni già  trascorsi oltre Manica dovrebbero avermi insegnato che nulla più del tempo (meteorologicamente parlando) è più imprevedibile a queste latitudini.

Succede tutto un giovedì sera di metà  Settembre, quando l’aria nel cielo di Londra da afosa e insolitamente opprimente si fa d’un tratto più fresca, bagnata d’umidità  e premonitrice di una scarica d’acqua. Succede mentre cammino per Kilburn High Street, prima di arrivare al portone del The Good Ship. La venue è piccolissima e con una strana divisione degli spazi. Mi fa rendere conto, una volta in più, di quanto ami e – di gran lunga preferisca – gli spazi più piccoli alle folle oceaniche dei concerti da stadio.

Suggested Friends sono la prima band di supporto. Si presentano in una inusuale lineup con due chitarre e voce. Dopo pochi minuti ecco la precisazione: non sono un duo, ma una band vera e propria, un quartetto per la precisione. Per vicissitudini varie, hanno dovuto ripensare il set la sera prima. Reggono all’urto e lo fanno con una certa (scanzonata) maestria, devo ammettere, perchè il loro (quasi) punk, un po’ rock, un po’ twee e un po’ emo(ji) che parla anche di Harry Potter vive della forza vocale di Faith. La quale regala una splendida versione soul di “How Will I Know” di Whitney Houston nel finale. Mi impressionano meno i Cosines, invece: indie pop zuccherato sicuramente molto elaborato e nel complesso di buona fattura, con una struttura già  ben definita, ma che non mi sposta i capelli.

Il turno di Kid Canaveral arriva puntuale, in un’atmosfera più che rilassata. David MacGregor (chitarra ritmica e voce) è in forma, e trova modo di rompere la tensione di un avvio a singhiozzo, per i campionamenti di “First We Take Dumbarton” che fanno le bizze e la band non trova il ritmo al primo colpo. “Abbiamo un nuovo tastierista, Michael, ma non sa che questa sarà  la sua ultima apparizione con noi!”, sussurra il cantante, tra le risate. Il set entra nel vivo e sono i pezzi di “Faulty Inner Dialogue” a farla da padroni. Le bellissime “Tragic Satellite”, “From Your Bright Room”, “Pale White Flower”, “Reel”, vengono incastonate tra le altre gemme della discografia meno recente della band.

Ci sono cuore e passione, nel suono di questi cinque ragazzi scozzesi, che amano scherzare e porsi sul palco con la leggerezza di chi ci mette l’anima in ciò che fa. Mi colpisce la versione acustica di “Her Hair Hands Down”, che chiama alla chitarra il batterista Scott McMaster. Così come “Low Winter Sun” e “Skeletons”, dall’esordio “Now That You Are A Dancer”. Suonano per un’ora e venti minuti abbondanti, chiudendo il proprio live con la potenza di “A Compromise”. Un pezzo, questo, che si staglia dal coro dei Kid Canaveral più recenti e morbidi, abbracciando paesaggi più cupi. Quelli “dell’inverno scozzese, che dura 10 mesi”, come ripete David, visibilmente provato dall’alta pressione e l’afa degli ultimi giorni.

Mi fanno venire in mente un sacco di cose, anche qualche vecchio shoegazers degli anni ’80, epoca alla quale questi ragazzi sembrano essere legati in maniera indissolubile, quanto a fonti d’ispirazione. Ne parlo con Kate Lazda (chitarra), alla quale mi presento al termine del concerto. Si intrattiene per un po’, di fronte a un’immancabile pinta, con una genuinità  e una disponibilità  che mi fanno riprendere la strada verso  casa col sorriso.

Setlist
First We Take Dumbarton, Tragic Satellite, Callous Parting Gift, Gun Fhareachdain, And Another Thing!, From Your Bright Room, Live Never Lived, Her Hair Hands Down, Pale White Flower, Low Winter Sun, Reel, Skeletons, A Compromise.