Questo album senza titolo, accompagnato semplicemente dal silenzio dei quattro misteriosi simboli magici sulla sua copertina, rappresenta il tentativo della band inglese di raggiungere il proprio pubblico senza alcuna interposizione mediatica e commerciale da parte delle radio e della carta stampata – con cui la band aveva all’epoca un pessimo rapporto – in modo da ottenere un coinvolgimento emotivo, diretto e sincero e dare la possibilità  a questo disco di acquisire quell’alone eterno e leggendario che lo accompagna ancora oggi, in una perfetta e accattivante fusione tra quelli che sono i toni hard-rock di “Led Zeppelin II” e le suadenti atmosfere folk-rock di “Led Zeppelin III”.

Il mondo, intanto, stava vivendo una turbolenta epoca di rivendicazioni sociali e culturali: diverse erano le anime e le sensibilità  che agitavano le rivolte, ma tutte sentivano l’obbligo di rompere con le politiche più tradizionali del recente passato e costruire una società  che fosse più giusta e inclusiva e che potesse dare voce e diritti a tutti coloro che, normalmente, venivano zittiti e messi da parte. La beat generation, le rivolte del ’68, i movimenti di protesta afro-americani erano tutti accomunati da quello che non era percepito solamente come il desiderio di un futuro migliore, ma come una vera e propria missione.

I Led Zeppelin, all’inizio degli anni Settanta, si trovano sull’argine sottile che separava due mondi: quello istituzionalizzato delle regole e dei clichè che si opponeva, con rabbiosa e bellicosa fermezza, a ogni tentativo di trasformazione e cambiamento e quello della contro-cultura che voleva, ovviamente, sovvertire schemi e meccanismi consolidati, ribaltando gli equilibri di potere esistenti.

Una contrapposizione che è anche artistica e musicale e che i Led Zeppelin, all’alba della creazione di questo disco, decisero di fare propria, andando oltre le radici celtiche del loro sound, ma conservandone, però, tutto il fascino oscuro, anche grazie anche al luogo nel quale stabilirono di registrare il nuovo disco: Headley Grange, laddove inquieti, antichi e indomiti spiriti offrono rifugio e consolazione agli emarginati, ai solitari, agli sconfitti, a tutti coloro che sentono la propria anima bruciare. Ed è così che questa luce sacra, la medesima luce prodotta dal dirigibile in fiamme, entra in ogni singola canzone dell’album, così come, però, vi entra anche la dannata oscurità  che brama nutrirsi di questo fuoco divino e immortale. Il tutto avviene sotto lo sguardo del vecchio rappresentato in copertina, sotto l’ombra dei palazzi e degli orizzonti urbani che lo sovrastano, sotto la preziosa protezione di quei quattro simboli arcani che ci consentono di sollevare il velo delle menzogne e delle falsità  con cui nascondiamo la verità  e sentire, finalmente, fluire dentro di noi l’essenza reale della natura, la sua potenza, la sua primordiale energia, il suo lato benevolo, ma anche il suo lato più malvagio e violento. L’eterno loop di stagioni, di cicli di fine e rinascita, di infiniti ritorni ed abbandoni, di fasi di pace e distruzione, ci dimostra che solo la saggezza e la conoscenza, rappresentate dalla lampada che il mago alza in alto, possono renderci migliori e infrangere il muro di silenzio che opprime i nostri pensieri, le nostre idee e le nostre intuizioni più istintive.

“Led Zeppelin IV” ci offre, da un lato, infuocati e combattivi brani hard-rock, come “Black Dog”, “Misty Mountain Hop” o “Rock And Roll” e, dall’altro”, armoniose e leggiadre trame pervase da misticismo folk, come in “Going To California” o “The Battle Of Evermore”, mentre quello che diventerà  il vero e proprio inno della band, “Stairway To Heaven” rappresenta il punto di contatto tra queste due diverse sensibilità  sonore, il risultato del riuscito esperimento di unire queste due dimensioni, trasformando quella che inizia come una ballata acustica e rurale in una cavalcata elettrica e blueseggiante. Blues dal cuore maledetto che emerge, poi, in tutta la sua appassionante energia anche in “When The Levee Breaks”, altro brano che ha contribuito a rendere quello che i Led Zeppelin presentarono semplicemente come il loro quarto album, in un album mitico, un album in grado di superare i limiti dello spazio-tempo e catturare l’attenzione di generazioni successive di ascoltatori e musicisti.

Pubblicazione: 8 novembre 1971
Durata: 42:39
Dischi: 1
Tracce: 8
Genere: Hard-Rock, Folk-Rock, Heavy-Blues
Etichetta: Atlantic
Produttore: Jimmy Page
Registrazione: dicembre 1970 ““ luglio 1971

Tracklist:
1. Black Dog
2. Rock and Roll
3. The Battle of Evermore
4. Stairway to Heaven
5. Misty Mountain Hop
6. Four Sticks
7. Going to California
8. When the Levee Breaks