Si potrebbe tranquillamente tornare indietro di 3 anni e ripetere questa recensione del precedente “Unity” per chiudere la pratica su questo “Tremors”, visto che per i due KVB rimane invariata l’aurea da consolidati fighetti del post wave, in quel limbo dorato e sempre intrigante di rimandi ai soliti noti (Velvet. Jesus and MC, dream pop a palate, i New Order in salsa 80’s, etc).

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Però non sarebbe giusto nei confronti del tempo che passa per tutti e le parole invece rimangono, mentre l’intento del duo sarebbe in buona sostanza quello di raggelare proprio il progredire del tempo, confezionando canzoni dal mood immutabile, dentro scatole che contengono materiale sonoro per le nuove generazioni alle prese con la fantomatica domanda inevasa sul proprio futuro.

Insomma, la risposta è sempre la stessa, crogiolarsi dentro una malinconia a tratti stringente e assolutamente necessaria, a tratti più solida, ma sempre rimanendo nell’amato interstizio fra ciò che ci turba e ciò che vorremmo, in una amatissima simbiosi con la fragilità delle sensazioni che possono far parte dei momenti di passaggio . “Tremors” risponde come sempre benissimo a questa esigenza, con 10 canzoni in perfetta sintonia con le intenzioni degli autori, con un’ottima produzione avvolgente, gli stacchi giusto e la voce in riverbero del tenebroso Nicholas Wood.

Quel che il passare del tempo però esige è rispondere anche ad un cambiamento, ad un tentativo di non essere accondiscendenti con la propria ispirazione, ma di avere un minimo di tensione creativa aggiuntiva, altrimenti si rischia di essere per sempre cristallizzati dentro una stanza sul promontorio con l’unico desiderio di essere guardati, come emblematicamente dimostra la bellissima copertina; detto questo, l’album fila e a volte si vorrebbe che le canzoni durassero un pò di più, che la scia sonora ci accompagnasse per un tempo maggiore, vediamo la prossima volta se dovremo riscrivere più o meno la stessa recensione.