Rapido mente locale alla nostra adolescenza da sedicenni.
Scuola per gran parte del giorno, cazzeggio in giro per il quartiere o provincia tra motorini, bar e qualche calcio al pallone, la sera giusto sporadiche e rapidi boccate d’aria. Francamente non ricordo di più.
E poi c’erano le vacanze. Queste rigorosamente con i genitori invidiando conoscenti o semplici coetanei già  abilitati alle prime esperienze in solitario, magari in campeggio, comunque non a più di 3-4 ore di macchina da casa. A grandi linee è stato per tutti così. Al meno nel nostro paese. Stesse considerazioni appaiono infatti fuori luogo se applicate a paesi d’oltreoceano, dove certe libertà , nel bene e nel male, si conquistano ben prima della maggiore età .

Non c’è da stupirsi quindi se Zach, ragazzino canadese, per ravvivare la sua estate altrimenti piatta in quel della natìa Albuquerque, abbia fatto armi e bagagli finendo per girovagare in lungo e largo per l’Europa dell’Est.

Folgorato sulla via di Belgrado (o Spalato, o Bratislava, fate voi, poco importa”…) il ventenne, già  precoce compositore (non ancora quindicenne ha al suo attivo un album di elettro-pop ed uno di doo-woop) consegna alle stampe un lavoro da più parti indicato come autentica rivelazione dell’anno in corso.

Fregandosene dell’imperante hype che vuole il Canada incontrastata patria dell’indie-rock, saltando a piè pari accostamenti, a quanto pare necessari al giorno d’oggi se vuoi far sentir parlare della tua musica, con i connazionali Arcade Fire, Broken Social Scene e compagnia bella, il solo-project di questo talentuoso artista, organizza un bel falò di chitarre elettriche e amplificatori, inscenando intorno ad esso, una festa gitana al chiarore di luna.

Mandolini, ukulele, tamburi, organi, clarinetti, campanacci, fisarmoniche, ect”… Condon è accompagnato da i soli Barnes e Trost (orbitanti nei collettivo “Neutral Milk Hotel” e “A Hawk And A Hacksaw”) ma suona come una debordante orchestra gitana, stupendo per la facilità  con cui riproduce umori e sensazioni di paesi lontani, visitati solo per pochi giorni.

Se infatti i Gogol Bordello con il loro gipsy-punk hanno incarnato alla perfezione l’anima festosa e spensierata della cultura balcanica, fornendo perfette colonne sonore a scene di matrimonio o pazze feste circensi (penso a “Gatto Nero , Gatto Bianco” di Kusturica) la musica di Zach Condon chiude incredibilmente il cerchio dando forma e sostanza al lato più malinconico e se volete drammatico di un popolo così fortemente in bilico tra un’ immensa voglia di vivere ed una realtà  quotidiana fatta di mille difficoltà .

Marcette funebri interpretate da brass-band gitane, lamentose ballate folk intonante da chi di mestiere fa l’immigrato ma non scorda di certo le proprie radici , flebili accenni latini e country-western (l’est europeo proposto come paesaggio “‘borderline’ ), ancora una volta il processo di sdoganamento di un genere considerato di nicchia come in questo caso la musica etnica trova principale artefice in un personaggio in grado di accogliere innumerevoli consensi anche e soprattutto tra il popolo indie.