Immergersi nell’acqua è come sognare. Forse questa è la chiave di lettura della terza prova solista per Aidan Moffat in arte L.Pierre, che in maniera abbastanza inattesa con “Dip” si abbandona completamente a sonorità  ambient e loop eterei. Nulla che geneticamente non fosse già  in altri modi e misure nel dna del musicista degli Arab Strap ma diciamo che in questo mini album o EP di 6 tracce l’idea viene portata sulla scala di concept album.

Senza fretta, c’è bisogno di fermarsi e aspettare. Aspettare finalmente immobili, e poi sarà  tutto il resto che inizierà  a muoversi, anche quel paesaggio che sembrava inesorabilmente statico. E’ il canto della risacca di “Gullsong” che si smonta e si dissolve in nuove sfumature fino planare leggero come un gabbiano nella morbida “Weir’s Way”, lungo brano che spiraleggia su se stesso in loop morbidi e sognanti. “Ache” guidata dalle sgocciolanti note di un pianoforte è un inno alla solitudine perfetta e assoluta che solo certe spiagge vuote sanno regalare. Tutto scorre, è proprio il caso di dirlo, liscio fino ad “Hike” traccia dalle dinamiche un po’ troppo nervose costruita sopra un loop di violini da musica da camera.

Colpa principalmente di una drum machine davvero troppo intrusiva, quando infatti nella seconda metà  sfuma sullo sfondo lasciando spazio a glitches e gorgoglii la situazione migliora di molto senza perdere comunque brio. Ma ormai è troppo tardi perchè l’effetto è quello della maledetta sveglia che ti tira fuori dalle coperte quei 5 minuti prima sufficienti a rovinarti l’intera mattinata. Insomma a parte questa anomalìa che spezza l’atmosfera costruita “Dip” sfoggia la stessa precisione concentrica e ipnotica di un mandala.

Un lavoro che forse non aggiunge nulla di nuovo in materia ma in grado di affascinare chi apprezza le atmosfere eteree con melodie avvolgenti proprio come l’abbraccio perfetto e assoluto del liquido sul corpo. Immergersi è come sognare, lasciare fuori in superficie il mondo sensoriale che ci è familiare e scivolare perfettamente soli verso l’indefinito. O forse è solo il tornare a casa, in quel liquido amniotico che ci ha dato la vita. In ogni caso forse, l’unica solitudine che non fà  davvero male.