“As Days Get Dark” arrivano gli  Arab Strap.

Dall’oscurità  più profonda, invero squarciata da qualche progetto parallelo venuto alla luce, riemergono gli  Arab Strap, probabilmente attirati dal feticcio del dolore e della desolazione che caratterizzano la contemporaneità  umana globale.
Aidan Moffat  e Malcolm Middleton  risorgono dopo 16 anni sotto l’effige griffata Arab Strap presentando un lavoro coeso, impastato nell’oscurità  e nel dolore con tanta rabbia e lucidità .

“As Days Get Dark” è un disco che sprigiona una forza evidente ed una certa vibrazione che attraversa tutto l’album e che s’innesta nell’ascoltatore come un brivido lungo la colonna vertebrale.
Il cantato-parlato tipico dello  spoken-word  di  Moffat scorre sopra un tappeto denso e ridondante. Le parole tagliano e si infilzano nelle orecchie dell’ascoltatore spingendo forte fino alla corteccia cerebrale visioni desolate, crude e disincantate. Il disegno che si staglia è quello di una vita fragile sull’orlo del baratro consapevole della propria condizione precaria e priva di significato.
La fucina del  sound  produce un manto basso e pesante con delle nervature free jazz, delle increspature new wave  e delle aperture disco dance.

L’opening track “The Turning of Your Bones” si presenta in medias res  e proietta il fruitore dell’opera nel  mood esatto che la caratterizza e che essa stessa riproduce: lucida angoscia. Un giro di chitarra che a me ricorda i System Of A Down.
L’amore diventa carnale e disincantato nella splendida “Bluebird”, che segue una variegata e convincente “Compersion, Pt. 1” che non prevede al momento una seconda parte. In questi due brani la voce narrante si avvicina a quella di un Bill Callahan  cattivo e purulento.

Il disco di Moffat  e Middleton  è proprio un bel disco. L’unico problema a mio avviso è che il genere degli  Arab Strap è un genere sperimentale e di rottura degli schemi, dove i suoni e le soluzioni compositive devono sempre sorprendere e interessare l’ascoltatore. In questo progetto lo schema innovatore c’è, ma è come se la materia prima usata fosse antiquata, come se gli strumenti del lavoro fossero ormai obsoleti. Il disco suona come un disco sperimentale fuoriuscito dal passato. Fosse un disco del 2006 sarebbe un vero capolavoro.
Attualissimi ed eterni invece i testi di Moffat  che impattano benissimo nelle orecchie di un essere umano vivente nel 2021.

Gli  Arab Strap  sono tornati e questa è già  una buona notizia, il disco è un ottimo disco, e questa è una ulteriore buona notizia.

Il duo scozzese è ancora vivo e vegeto e ognuno di noi ha 11 nuove tracce da metabolizzare profondamente e da godere finchè dura.