Mettiamola così: questo disco mi indispone già  prima di ascoltarlo, poichè arriva senza nemmeno la custodia di nylon dei cosiddetti promo (o advance, per fare i fighi…ma tanto non ci crede nessuno). Con la copertina il discorso non migliora: si vede infatti Rob Crow che regge una mug (ma per fare una cazzo di foto non poteva appoggiarla da qualche parte?!). Accanto a lui, alcune zucche di halloween e delle lapidi di cartone, che fanno molto generazione X.

Quello che mi infastidisce di più è però – cazzo! – la presenza, nel booklet all’interno della custodia-che-non-c’è, del figlioletto avuto da pochi mesi (mentre nella “terza di copertina” c’è di nuovo lui con la tazza, ma questa volta insieme alla moglie – incinta): lasciate i bambini dove stanno, cazzo! Ecco, qui finiscono le considerazioni che potevo sinceramente tenere per me, ma che in realtà  si collegano ad un discorso lungo svariati anni, in cui il polistrumentista di San Diego si è diviso – letteralmente – tra numerosi progetti paralleli (Goblin Cock, Thingy, Heavy Vegetables e The Ladies), di cui – sicuramente – il più importane è stato quello conosciuto come Pinback, band nota in particolare per quel “Summer In Abaddon” (2004) che li impose all’attenzione generale del mondo indie-rock.

Nei pochi ritagli di tempo però, ha trovato spazio pure una dignitosa carriera solista, di cui il presente “Living Well” è il suo terzo ed ultimo lavoro sulla lunga distanza. Prodotto e registrato nella sua stanza, “ad eccezione di alcune parti, probabilmente registrate a casa di Zach [Hill] mentre lui era a pranzo” e suonato quasi interamente da solo (compresi loops, drum machines e batteria), il disco si ispira alle sonorità  di quella generazione di cui Rob fa (ha fatto?) parte. Il tema portante dell’intero album – la famiglia (Rob Crow è di recente diventato padre, se non l’avevate ancora capito) – viene sviluppato attraverso intrecci di chitarra elettrica (di chiara derivazione Pinback) e un cantato monocorde caro ad Aidan Moffat. Il risultato è forse l’album più coeso che l’artista californiano abbia finora dato alle stampe: quattordici canzoni elettro-acustiche, disimpegnate e melodiche al tempo stesso, che richiamano il grunge dei Nirvana (“I Hate You, Rob Crow” e “Burns”) ed il cantautorato lo-fi del primo Beck (“Chucked” e “Ring”), ma anche il beat elettronico ed ipnotico-ossessivo che ha fatto la fortuna di band come Arab Strap e Mogwai (“Over Your Heart” e “Up”). Nonostante – musicamente parlando – Rob Crow abbia già  “dato”, “Living Well” potrebbe insinuarsi nelle vostre vite come un’innocua illuminazione televisiva, che però salverà  il vostro guardare poeticamente (e nostalgicamente) il mondo.