Coraggioso il profumo del sale che, incitato dal vento, riesce a varcare la soglia della mia finestra e ad arrivarmi addosso. Il mare, che oggi nemmeno vedo, nascosto da un’umida e calda coltre di bianco soffuso. I palazzi sfumano e perdono i contorni, il caldo si erge e il sole abbaglia col riverbero della luce forte. I miei occhi sono troppo chiari per sopportare pazientemente tutto questo. Devo trovare un modo per venirne fuori, per non restare immobile nell’attesa che l’estate troppo lunga mi passi attraverso lasciando il segno.
Questo disco è tutto quello che mi sono trovato tra le mani, e forse riesco a dare un senso a tutti questi luccichii nell’aria che frigge anzitempo. Ed è strano, vista l’ondata di artisti svedesi che producono un buon pop d’autore, che non si senta parlare troppo di Montt Mardiè, un ragazzo che ha tutte le carte in regola per distinguersi in meglio rispetto a tanti altri. Immaginate del solido e classico indiepop, una produzione abbastanza accurata, delle melodie degne dei migliori Belle and Sebastian e un’attitudine, prettamente nel cantato, che profuma fortemente di Motown ed otterrete il sound di questo doppio album davvero sorprendente. “Clocks” dei due dischi è sicuramente il meglio riuscito, e forse anche più sincero, in bilico tra limpide melodie estive, qualche romanticheria armonica e una voce che sembra appartenere a territori prettamente soul-funk. Gli arrangiamenti, talvolta scarni e altre volte più orchestrali, si avvalgono di una produzione davvero pulita e accorta, per cui tutti gli episodi in scaletta risultano quanto meno accattivanti. Ti si incollano da subito in testa, come quelle piccole goccioline di umido che nelle serate estive ti piovono invisibilmente addosso. Per quanto riguarda il secondo disco, “Pretender”, in cui i brani sono sempre collaborazioni con altri artisti svedesi, il ragazzo sembra più che altro divertirsi con la propria musica preferita.
Fanno capolino anche i Duran Duran in alcuni passaggi sintetici degni dei migliori/peggiori momenti pop anni ’80. L’apice di tutto questo è rappresentata da “metropolis”, un brano dai suoni marcatamente sintetici, ben oltre i limiti del kitch, eppure dotato di una carica melodica assolutamente innegabile. La scaletta fin troppo eterogenea presenta comunque due perle acustiche: “castle in the sky” con Jens Lekman e la delicatissima title-track in duetto con Hello Saferide. Il resto sembra puro divertissement di un’artista che sa come non prendersi troppo sul serio e gioca con la pop dance di qualche decennio fa. Montt Mardiè arriva al momento giusto comunque, e questo lavoro dovrebbe avere maggiore risonanza anche dalle nostre parti. Ora tocca alle stellette come di consuetudine, e il giudizio è la media artitmetica delle quattro di “Clocks” e le tre (ma forse anche due e mezzo) di “Pretender”. Affogo nel bianco più umido adesso.