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“Into The Wild” arriva in un momento in cui ci si chiede sempre di più cosa significhi essere americani o non esserlo: l’ultimo lavoro di Sean Penn dice la sua (il regista stesso si è augurato che il film possa far battere il cuore dei giovani), riesumando non tanto On the Road di Jack Kerouac, quanto i padri della letteratura a stelle e striscie, i grandi cantori della wilderness come Henry David Thoreau e Jack London, espressamente citati più volte nel romanzo omonimo di Jon Krakauer da cui è tratto il film.

Chris McCandless è un giovane posto di fronte ad un dilemma fondamentale, un tema cardine della cultura americana, che rimanda ad una famosa scena di Sentieri selvaggi, inquadratura seminale di tutto il cinema d’oltreoceano: sposare la civiltà  oppure abbandonare tutto, spingendosi nella natura inesplorata, sfidando sè stessi ma anche il paesaggio, le leggi insondabili della sopravvivenza? Non serve aver letto Frederick Jackson Turner per capire come la frontiera, il mito del pioniere, siano delle figure centrali nell’immaginario di questa società  nata appena due secoli fa.

Piuttosto che a Sal Paradise e a Dean Moriarty, i due personaggi di Kerouac che andavano girovagando per l’America senza un reale scopo, McCandless assomiglia molto più a Huckleberry Finn, l’eroe di Mark Twain che nemmeno ragazzo sfuggiva alle convenzioni, ad una fortuna sfacciata che gli aveva riservato la ricchezza, e si metteva a risalire il Mississippi con uno schiavo nero. Il protagonista di “Into The Wild” uno scopo infatti ce l’ha, ed è quello di dimostrare di poter resistere abbandonando la civiltà , vivendo senza denaro, senza contatti, senza sentimenti duraturi.

“Into The Wild” è un film pieno dell’America, un film impensabile senza i poderosi scenari naturali offerti da quel continente, ed infatti deve la sua straordinaria potenza non tanto alla storia ““ se vogliamo anche schematica, nel rapporto difficile con la famiglia borghese e nel rifiuto degli agi e delle sicurezze ““ ma nei grandi campi lunghi che fanno entrare di prepotenza le montagne, i fiumi indomabili, gli sterminati campi di grano, i grandi deserti e le steppe innevate che McCandless adotta come suo spazio vitale, l’unico nel quale possa sentirsi veramente libero di esprimere la propria personalità , di sconfiggere i propri demoni. Inevitabilmente, Sean Penn sposa una struttura narrativa molto aperta, fatta di continui salti all’indietro e ritorni a quell’autobus abbandonato, solitario nel paesaggio dell’Alaska, luogo di un destino tragico che segna l’impossibilità  di un compromesso.

La suggestione del racconto orale fa facile presa sul pubblico, e il film si perde un po’ nei dialoghi esplicativi, specie in quelli predicatori tra il protagonista ad un insolito Vince Vaughn, che sottraggono “Into The Wild” al potere stesso del suo titolo, immerso nelle terre selvagge come se queste fossero una condanna.
Le musiche di Eddie Vedder sono strepitose (premiate con il Golden Globe ma snobbate dagli Oscar), e la sua voce entra di diritto in quella cerchia di privilegiati, da Woody Guthrie a Bob Dylan, passando per Bruce Springsteen, che l’America la sono riuscita a cantare correndo.

Locandina
Sceneggiatura di: Sean Penn
Interpreti: Emile Hirsch, Vince Vaughn, William Hurt, Jena Malone, Marcia Gay Harden, Hal Holbrook
Prodotto da: Paramount Vintage, River Road Entertainment
Distribuito da: BIM
Durata: 140′
USA, 2007

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