Blackbelt Andersen
S/T

Almeno al proprio esordio bisognerebbe porre una cover intrigante, soprattutto se non si cavalca alcun hype e ci si butta nel mare magnum dell’elettronica con spiccata sensibilità  dance: Blackbelt Andersen se ne sbatte altamente e piazza in copertina un cowboy che sembra uscito non tanto dalla penna di Elmore Leonard, quanto da un’insegna al neon di Las Vegas terribilmente kitsch.

Sono comunque discorsi che occupano poco spazio una volta inserito il disco nel lettore, perchè di fronte alla techno pura e un po’ vintage del produttore norvegese si fa fatica a non restare incantati.
Se l’iniziale “Lørdag Del 1” si pregia di un incedere electro che lascia presagire grandi cose, queste ultime non tardano ad arrivare: la successiva “Søndag” è infatti pura estasi techno tra Detroit e lo spazio infinito. Continua sulle stesse, meravigliose coordinate “Sirup”, facendosi sempre più profonda e serrata, sfiorando pure soluzione minimal senza mai scivolare nelle secche in cui spesso naviga quest’ultima, anzi si insiste con coraggio su orgiastiche e assai tribali percussioni.

Le tracce si susseguono con coerenza, come fasi di un rito che può essere fruito sia nella solitudine dei proprio ambienti sia tra la moltitudine eccitata di un (probabilmente vicino alla perfezione) dancefloor.
Non si posso tralasciare perle come la cassa stratosferica di “Mamma” (titolo che fa il paio con la copertina), rotolante geometrica su un tappeto di distorta psichedelia digital-dub; oppure l’epica, imperturbabile e scultorea carica ritmica che guida “Kuk Av Stà¥l” per quasi dieci minuti e lascia poi il passo all’implacabile ed irresistibile battito di “November”.

In quasi un’ora e un quarto è condensata una piccola enciclopedia techno che, senza inventare nulla, declina le più varie possibilità  del suono e dispensa a destra ed a manca numerosi gioiellini: non esito a confessarvi che, da quando l’ho sentito, è diventato la mia tazza di thè.

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