C’era una volta il rock ma hanno dovuto ammazzarlo.

Uno va a sentire gli U2 perchè da bambino vedeva dei video con un buffo omino in bianco e nero con il gilet a torso nudo da sfigato che cantava canzoni tristissime, e si chiedeva perchè tutti restavano impalati a guardarlo come se fosse una cosa importante.
Uno va a sentire gli U2 per assistere a un enorme rituale collettivo, a una scarica di adrenalina commercialmente ed esteticamente preconfezionata, ma uno non ci pensa quando si trova lì in mezzo, e va bene così.

Uno va a sentire il concerto degli U2 per farsi delle domande sul gruppo spalla, in questo caso gli Snow Patrol, e si chiede se anche gli U2 quando facevano da spalla non sembravano niente di che, e chi avrebbe detto che sarebbero durati così a lungo. Ti chiedi se qualcuno di questi che vedi in giro adesso ci arriverà  mai a 30 anni di carriera.
Uno va a sentire gli U2 perchè vuole vedere dopo i limoni giganti e le maschere da MacPhisto cosa si inventa Bono questa volta. (Per la cronaca: effetti minimalisti se paragonati ad altri concerti, il palco che sembra un enorme chela di granchio, tra l’altro un po’ bruttina).
Uno va a sentire gli U2 per vedere sul maxi schermo l’immagine di Bono e The Edge che si abbracciano in modo fugace e non saranno Paul e John, non saranno Mick e Keith, ma non è che loro abbiano fatto una bella fine.

Uno va a sentire gli U2 per sentirsi superiore alle masse mentre tutti saltellano sul quella trashata di “Vertigo” e ti viene in mente che alcuni fan degli U2 non hanno niente da invidiare a quelli di un rocker mediocre di Zocca. Tu non sei lì per quello. Tu sei lì per quando gli U2 facevano new wave, sei solo nato nel decennio sbagliato.
Uno va a sentire gli U2 perchè sa che ha un certo punto Bono dirà  I can’t believe the news today e la folla si sentirà  battagliera e pronta alla rivolta, anche solo per una canzone. Poi il palco si tinge di verde per ricordare i fatti in Iran e ti rendi conto che how long must we sing this song è una frase senza senso.
Uno va a sentire gli U2 perchè a un certo punto si sentono le chitarre di “The Unforgettable Fire” ed è decisamente cosa buona e giusta.

Uno va a sentire gli U2 per riscoprire “One” dopo le infinite torture a cui è stata sottoposta, non ultima la cover di Mary J. Blidge, e si rende conto che quando Bono dice Love is a temple, love a higher law un brivido te lo procura sempre, malgrado tu vorresti pensare solo all’amore che hai perso, alle cose che sono andate, e ti trovi invece il faccione di Desmond Tutusul maxi-schermo. Scopri che Bono non è riuscito nell’impresa improbabile di trasformare una canzone d’amore in un inno umanitario.
Uno va a sentire gli U2 perchè a tratti il corto circuito tra rock e politica suona in modo semplicemente perfetto, e “Where The Streets Have No Name” vale da sola il prezzo del biglietto.
Uno va a sentire gli U2 per vedere Bono in ginocchio alla fine del concerto dopo “Moment of Surrender” dall’ultimo album e ti sembra che lui sia così, un po’ esposto nel suo martirio cristologico, un po’ stanco di essere Bono, un po’ consapevole di essere mortale.

Uno va a sentire gli U2 perchè c’era una volta il rock, ma questo era tanto tempo fa, e qualcuno ha dovuto ammazzarlo.

Setlist:
Breathe
No Line On The Horizon
Get On Your Boots
Magnificent
Beautiful Day
I Still Haven’t Found What I’m Looking For
Desire
Stuck In A Moment
Electrical Storm
Unknown Caller
Unforgettable Fire
City Of Blinding Lights
Vertigo
I’ll Go Crazy If I Don’t Go Crazy Tonight (Dance Version)
Sunday Bloody Sunday
Pride (In The Name Of Love)
MLK
Walk On
Where The Streets Have No Name
One
Ultraviolet
With Or Without You
Moment Of Surrender