Steve Vai è forse il miglior chitarrista del mondo. Riconosco il suo merito ma è, per me, un ginnasta della chitarra, esibizionismo allo stato puro che non emoziona nè diverte.
Al di là  di questa considerazione, “Where The Wild Things Are” è un signor live. è un doppio DVD autocelebrativo dalla durata di due ore e quaranta ma che è perfetto sia nel suono che nell’immagine. Steve Vai fa spettacolo con chitarre luminescenti, camicie hawaiane, tuniche e batterie con teschi e fa sfoggio della sua abilità  chitarristica dinanzi ad un pubblico attonito come se stesse assistendo ad un miracolo. Vai fa quel che vuole delle sue chitarre, le fa parlare, piangere, gridare, gemere, le eccita anche con la lingua (nel finale maestoso di “For The Love Of God”) proponendo una scaletta che manda letteralmente in visibilio i suoi fan. In fase di produzione, cura al massimo la qualità  del doppio DVD che presenta un’immagine nitida, pulita e un suono perfetto rendendo al massimo la sua presenza scenica esuberante. Un doppio lavoro, quindi, on stage e dietro le quinte assolutamente indispensabile per i fan del chitarrista (e dei chitarristi iper-veloci) e assolutamente prescindibile per i restanti.

Si parte in quarta con l’inedita “Paint Me Your Face” e “Now We Run” fino ad arrivare alla famosa “Tender Surrender”, magistrale e dinamico esempio di tecnica chitarristica. Steve Vai seduce il suo pubblico incantandoli con la velocità , le luci di scena, un caleidoscopio di suoni e rumori e una band assolutamente di livello a cui viene lasciato grande spazio.
Il pubblico, anche da casa, riesce ad avvertire la grande sinergia che c’è sul palco tra i due violinisti, il batterista, il bassista e il secondo chitarrista che, con grande equilibrio, si suddividono i ruoli senza far prevaricare i loro strumenti. Un concerto fisico, sudato, allucinante, che stordisce e che riesce ad appagare con soddisfazione solamente un determinato tipo di ascoltatore mentre potrebbe annoiare ripetutamente chi non apprezza un certo tipo di rock piacione, gigionesco, folkloristico, sbrodoloso, da circo.

Steve Vai non si conserva, anzi concede una scaletta lunga ben 27 canzoni che riprende un po’ il mondo musicale di Frank Zappa, anche nei siparietti tra un brano e l’altro, che contiene un paio di gemme come “Whispering a Prayer” nel secondo disco e “Treasure Island” nel primo ma che, in definitiva, dovrebbe essere considerato solamente come uno show straripante e tamarro, zeppo di scale assurde e inascoltabili ma che si presenta spettacolare, visionario ed eccessivo.