INTRO
Ogni anno leggi la line up, guardi video e foto e sogni di andarci. Finchè un giorno (la prima domenica mattina di ottobre, per la precisione) ti ritrovi ad aggiornare una pagina web ogni due minuti e, improvvisamente, a riuscire nell’impresa. Realizzi di avere i biglietti e da quel momento in poi saranno solo ipotesi di line up e conti alla rovescia. Il tempo passerà  più in fretta di quanto immagini e una volta lì, ti renderai conto che tutti quei video, tutte quelle foto, tutti quei racconti letti qua e là  e non hanno mai veramente reso l’idea.

Glastonbury è il paese dei balocchi, è l’isola che non c’è, è il paese delle meraviglie. Tutti e tre messi insieme. è una cosa talmente grande che anche provandoci non si riesce a immaginare. Dal momento in cui ti mettono il braccialetto al polso, la sensazione di fare parte di qualcosa di veramente epico sarà  sempre con te. Sarà  con te quando decine di migliaia di persone esulteranno davanti al Pyramid Stage per la vittoria dell’Inghilterra contro la Slovenia, sarà  con te quando guarderai il sole tramontare per lasciare spazio alla prima luna piena in quarant’anni di festival, sarà  con te ogni volta che vedrai uno scorcio di Worthy Farm dall’alto, sarà  con te quando l’Italia verrà  miseramente eliminata dai mondiali e sarà  con te durante ogni singolo concerto di ogni singola band.

Il calcio di inizio dell’edizione più calda di sempre lo battono i Two Door Cinema Club, alle sei di giovedì pomeriggio, in un Queen’s Head stracolmo di gente che non vede l’ora di muovere il culo e di divertirsi. Perchè diciamocelo, i Two Door Cinema Club non sono assolutamente degli eroi, ma dal vivo sanno fare il loro lavoro. è il primo concerto di Glastonbury con quell’atmosfera indescrivibile e con tantissima voglia di musica. Non importa nient’altro. Vogliamo solo puro divertimento per mezz’ora, prima di iniziare a dannarci l’anima per scelte difficilissime. E non restiamo delusi.

GLASTONBURY ““ 26/06/2010
Ti giri e ti rigiri e di colpo è venerdì. Quel venerdì che doveva essere degli U2, ma che sarà  dei Gorillaz. Quel venerdì che inizia inaspettatamente con i Mumford And Sons, che per dirla con lo stile dell’ultima moda di Facebook verrebbe più o meno così: passare davanti al BBC Introducing Stage e leggere che alle 11:40 suoneranno Marcus Mumford e amici: cose da Glastonbury. I Magic Numbers vengono prontamente abbandonati al loro destino e ci si piazza lì davanti al BBC Introducing ad aspettare di entrare. E non importa se i Mumford suonano solo due pezzi (“Roll Away Your Stone” e “Awake My Soul”) per il Live Lounge di Jo Whiley, riescono comunque a entrare nel cuore di chi non li aveva mai visti dal vivo e a far commuovere ancora chi li aveva già  visti (me, per esempio). E poi, come se fosse la cosa più normale del mondo, sei fuori sotto il sole cocente e mentre passeggi ti fermi ad ascoltare l’ottimo Joshua Radin in mezzo ad altre migliaia di persone che, come te, non lo avevano mai ascoltato prima, ma che apprezzano tantissimo quel cantautorato così leggero e fresco. Una manciata di pezzi e ti rimetti in marcia verso il Park Stage con una missione: scoprire chi saranno gli special guest della serata.

Mentre l’inutilissima Lissie (che però farà  una bella cover di “Bad Romance” di Lady Gaga) suona canzoni per niente impressionanti, ti avvicini al fonico e chiedi gentilmente se può dirti chi saranno gli special guest, dice no, mi spiace non posso, ma posso dirti che è qualcuno che ha a che fare con radio. Non ci vuole Sherlock Holmes per capire che alle otto e mezza su quel palco ci sarà  Thom Yorke. Un veloce sguardo all’orologio e un rapido calcolo tenendo bene a mente che a volte per andare da un palco all’altro ci vuole anche mezz’ora: è ora di incamminarsi verso il Queen’s Head per il primo concerto imperdibile della giornata. Sulla strada c’è l’Other Stage dove stanno suonando gli Stranglers. Mi correggo: dove stanno suonando grandiosamente gli Stranglers e dove il pubblico va in delirio per ogni pezzo suonato, soprattutto per la monumentale “Golden Brown”. è incredibile il numero di volte in cui si riesce a restare a bocca aperta nel giro di quindici minuti.

Al Queen’s Head stanno suonando i Fiction Plane, tre buontemponi che divertono con il loro pop rock senza pretese e che, a giudicare dalla risposta del pubblico, devono essersi guadagnati qualche fan in più. Dopo di loro, finalmente, Frank Turner. Quanto ti ho aspettato, caro Frank. Un uomo e una chitarra acustica riescono a riempire il tendone, a far cantare tutto (e intendo davvero tutto) il pubblico, come nemmeno lui stesso si aspettava. Mezz’ora suonata con il cuore in mano, con la stessa quantità  di sudore del Zinedine Zidane dei tempi d’oro e con una passione che non può non commuovere. è uno dei tantissimi momenti del weekend in cui ti troverai con le lacrime agli occhi e un sorriso ebete in faccia a pensare che stai vivendo una delle cose più belle del mondo. Finisce troppo in fretta questa mezz’ora e ti ritrovi ancora all’Other Stage per gli ultimi dieci minuti dei Courteeners (amatissimi dagli inglesi, che si scatenano soprattutto su “Not Nineteen Forever”) che riconfermano di saperci fare.

Dopo di loro, sullo stesso palco, i Phoenix che, come se niente fosse, iniziano con una “Lisztomania” qualunque che scatena un singalong notevole, anche se è solo andando avanti con il set che dimostrano di avere il coltello dalla parte del manico migliorando una performance già  buona che non farà  mai smettere di ballare. Adesso la scelta è facile. Nessuno vuole andare da Kele e ci si sposta verso il Pyramid Stage per la seconda metà  del concerto di Snoop Dogg. Impressionante. Un nuovo idolo. Canzoni di un genere che io, personalmente, non metto tra i miei preferiti, ma una performance a dir poco irresistibile, coinvolgente e divertente. Finisce lui e il Pyramid Stage torna a essere vivibile, un sacco di persone si spostano e mi permettono di guadagnare una posizione più favorevole per i Vampire Weekend. Quanto possono essere bravi? E quanto possono essere appropriate quelle canzoni con il caldo e la gioia estiva del festival? Si amano su disco e si amano ancora di più dal vivo. Se canzoni come “A-Punk”, “Oxford Comma”, “Holiday” e “California English” non ti mettono voglia di saltare, di cantare, di ballare e non ti fanno sperare che Ezra e soci vadano avanti a suonare a oltranza, allora c’è qualcosa che non va, ma purtroppo la loro ora finisce troppo in fretta e con tanta adrenalina e tanta gioia nel cuore si corre (letteralmente) verso il Queen’s Head dove riusciamo a sentire l’ultima canzone dei Fanfarlo (cinque intensi minuti di maestria musicale) prima di cercare di capire cosa fare delle nostre vite. Restare per i Mystery Jets o andare da Thom Yorke? Il cuore colmo di gioia e di voglia di cazzeggio post-Vampire ci dice di restare, la curiosità  ci dice di andare al Park Stage. Via di mezzo. Metà  e metà . Almeno teoricamente. Metà  Mystery Jets che mettono a ferro e fuoco il Queen’s Head prima del lungo cammino verso il Park Stage in cui si è radunata tutta la popolazione di Glastonbury, c’è talmente tanta gente che non solo non si riesce a vedere il palco, ma non si riesce nemmeno a sentire dignitosamente.

Oh, io ci ho provato, ma tra me e Thom Yorke proprio non s’ha da fare. Resistere per un paio di pezzi, giusto per sentire se è davvero lui. è davvero lui. Ritorno sui miei passi e mi fermo ad ascoltare gli Hot Chip che, alla mia sinistra, stanno trasformando l’Other Stage in una pista da ballo grandissima (sebbene non la più grande che mi capiterà  di vedere nel weekend) e sorseggio una birra mentre al Leftfield Carl Barat sta facendo la performance più noiosa della giornata (no, Carl, nel tuo caso non basta essere fighi), talmente noiosa e approssimativa che è molto più divertente stare fuori a farsi foto con ragazzi vestiti da mucca, da papero, da Super Mario e da Luigi, prima di andare a prendere posizione al Pyramid Stage per i Gorillaz. è la prima sera vera e propria del festival, sei al Pyramid Stage e davanti a te c’è Damon Albarn che si diverte come un bambino. è difficilissimo riuscire a credere di esserci, di essere lì, mentre i Gorillaz (che ancora non riesco a concepire come headliner di Glasto) mettono su uno show bellissimo con una sezione d’archi e mille ospiti (Lou Reed, avete presente? Ma anche Shaun Ryder, Bobby Womach, De La Soul e Mark E. Smith), che raggiunge l’apice quando Snoop Dogg esce per il duetto su “Clint Eastwood”.

Damon Albarn quest’anno non infiamma la folla come l’anno scorso con i Blur, ma mette su uno spettacolo godibilissimo, suonato perfettamente e curato nei minimi dettagli in cui è possibile ascoltare qualsiasi genere musicale, uno spettacolo che una volta nella vita va visto. Se poi c’è quel pizzico di magia in più che solo Glasto sa dare, tanto meglio.

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