Interessanti fin dal nome, interessanti fin dai titoli delle tracce, interessanti dall’artwork. Per tutto e per tutto, questi svedesi di Malmo, indie rock nel senso piu’ lato (per vocazione), portano giu’ dalla Scandinavia un modello nuovo di proporre questo genere, che evidentemente furoreggia ancora poco nelle loro chart per non essersi ancora commercializzato a dovere. Chi lo puo’ testimoniare meglio di loro?

Le otto tracce, intitolate con numeri di quattro cifre, cosi’ come nel retro del disco sono riportate le durate delle canzoni e l’ordine delle stesse, rappresentano un condensato incredibilmente innovativo ed omogeneo di indie, alternative pop/rock che alcune volte rimanda agli U2 con una specie di variazione sul tema della voce di Thom Yorke che si sente in alcuni momenti di “0011” e generiche sperimentazioni in elettronica minimal cosparsa di micronoise che rimanda quasi alla post-electro scozzese degli Errors, con i dovuti aggiustamenti (vedasi la lunghissima, dieci minuti, “0003”).

C’e’ molto krautrock, che non e’ l’unica influenza ‘crucca’ di questo ciddà; sostanzialmente la Germania rappresenta la provenienza geografica piu’ ovvia per un disco che puo’ assomigliare a tutto fuorche’ ai Kraftwerk ma portandone comunque molti segnali e simboli, se non anche le piu’ larghe vedute che i Neu! hanno portato ad esempio dell’elettronica “antidiluviana”, ma ottima, se vogliamo, che negli anni ’70 ci propinavano. E, piu’ tardi, progetti come gli Stereolab.

Ci sta anche space rock, come etichetta, per capirci (“0009”, “0012”).
E chi c’e’ di abbastanza simile per farvi capire? I Palpitation, nei momenti piu’ elettronici, Ludwig Bell per il resto. Non li conoscete? Basta ascoltare i This Is Head e siete apposto.

E’ evidente la vocazione di ispirazione a Bono Vox nella voce, come gia’ dicevamo, ma sono quanto piu’ difficili da comprendere quali siano gli universi da cui proviene l’originalità ‘ paramelodica di questo indie cosà “poppeggiante”, ma contemporaneamente capace di trascendere i linguaggi basilari del genere. E’ un po’ come le prime volte che ascoltavamo i Radiohead deviare dal rock iperclassico di “Pablo Honey”, dove ancora non erano diventati LA MUSICA moderna, appellativo che oggi gli si addice tanto. Forse i This Is Head vogliono diventare il pop svedese? Forse, ma non certo nell’ottica della scalata di una classifica. Noi ci auguriamo che continuino a produrre dischi in “codice” come questo senza guardarsi indietro e senza cambiare rotta, perchè’ sono sulla parabola giusta per evolversi in maniera spudoratamente efficace e risoluta. Forse, possono, fare la storia dell’indie nella loro nazione. Ripeto, forse. Per ora, un ottimo disco di debutto.