Ma guarda caso.
Nel luglio dello scorso anno, quello che ormai si poteva considerare un relitto di internet, ossia il profilo Twitter dei Foo Fighters, ha ricominciato a vivere. Tweet dopo tweet, quel bravo ragazzo di Dave Grohl centellinava foto dallo studio scattate con il suo telefono di ultima generazione, dei planning dei vari giorni di incisione, dei microfoni, delle chitarre e della musicassetta dell’esordio dei Foo Fighters ritrovata chissà  dove. Video di pochi secondi con Taylor Hawkins che buttava lì qualche loop di batteria anticipatorio. Foto, foto e ancora foto. Fino a QUELLA. Un autoscatto di lui e il Lurch Addams del grunge: Krist Novoselic.
Un colpo al cuore.

Missing piece, dear Kurt.

Ma guarda caso.
A produrre “Wasting Light” chi ti ritrovo? Butch Vig, produttore del “Greatest Hits” dei FF, ma anche (soprattutto) di “Nevermind”.
23 febbraio 2011: David Eric Grohl viene nominato “Godlike Genius” agli NME Awards.
Dedica il titolo a Kurt Cobain e a tutti i batteristi (per par condicio).

Ma guarda caso.
“Wasting Light” esce pochi giorni dopo l’anniversario della morte di Kurt, e a quasi vent’anni di distanza da “Nevermind”.
Non nego che questo circo di eventi, ingranaggi perfetti da genio del male, abbia generato in me una sorta di pregiudizio già  prima di ascoltare il disco. “Nevermind” è il manifesto dell’autenticità , della rabbia e del disincanto di una generazione che ha visto in Cobain uno dei suoi rappresentanti. Quindi mi sono convinta che questo sarebbe stato il termine di paragone con “Wasting Light”. Beh, faccio un mea culpa, e metto la retro sul pregiudizio: “Wasting Light” è un gran discone, semmai il confronto potrebbe sussistere nei confronti dei precedenti lavori dei Foo Fighters, è ovvio. Ma quelle troppe coincidenze mi hanno portato nella direzione sbagliata ancor prima di aprire la mappa per potermi orientare.

“Rope”, il primo singolo, accompagnato da un video dal concept decisamente semplice e sobrio (la band che suona dentro un cubo luminoso) rispetto alle solite uscite di Dave & Co. in abiti succinti da Drag Queen facilone, o mascherate da riderci su per tre giorni di seguito, è la boccata d’aria dopo tre anni e passa di apnea dai tempi di “Echoes Silence Patience & Grace”.

“Arlandria” deve per forza essere il prossimo singolo: è terribilmente Foo, dall’inizio alla fine, con alternanze di moderazione, istinto, sussurro ed esplosione.

“White Limo” è la più “old school” del disco, bella grezza come le canzoni del primo self-titled, un concentrato di certe preferenze musicali di Grohl: non è un mistero che uno dei suoi miti, oltre al compianto Bonzo Bonham, sia Lemmy dei Motörhead, da cui trae ispirazione e collaborazioni (nel progetto Probot), e qui sono manifestate all’ennesima potenza.
“These Days”, già  amata in maniera incondizionata dai fan, definita quasi da tutti come la canzone più bella del disco, risulta invece la più debole per un semplice motivo: è un riciclaggio ben riuscito di “Resolve” con un bel testo da lacrimoni facili per cuori spezzati da ragazze belle e invincibili a cui si augurerebbe solo il peggio (da un Godlike Genius mi sarei aspettata un po’ più di originalità , ma si sa, Gesù convertiva l’acqua in vino, per alcuni fan “Grohl is God” ed ha creato una nuova canzone da una sua precedente, quindi nulla da biasimargli, anzi”…).

Ma andiamo alla questione “I Should Have Known”. Il caro Dave ha reclutato il vero ex-componente morto dei Nirvana, Novoselic, per le linee di basso della canzone. Aggiungi anche il suono del mellotron che fa tanto malinconia e gli immancabili archi ad hoc per la situazione, e l’effetto nostalgia-tendenza alla depressione è servito: come si fa a non pensare Kurt ascoltandola?
Il disco si chiude con “Walk”, un inno alla voglia di immortalità  che tuttavia non sfocia nel delirio di onnipotenza da rockstar, patologia molto diffusa nel music business, ma non propria di Dave Grohl (o perlomeno celata con arte”… lui ci scherza su continuamente).

“Wasting Light” è la Via: la via migliore che i Foo potessero prendere. La via del Rock puro. Almeno per adesso, basta con ballate che sfociano nel pop, o acusticate romantiche, se sei capace di far tremare l’inferno stesso con un plettro su sei innocue cordicelle”…

Credit Foto: Andrew Stuart