C’è voluto un po’, bisogna ammetterlo. Quasi dieci anni ci separano dal lancio della sua carriera, un’eccepibile ascesa capace di garantire successi e versatilità  come solo i grandi artirsti sanno fare. Il 2011 ci regala, prevedibile come un suo diversa colorazione dei capelli per una nuova uscita, il disco capace di mettere in gioco una carriera, il disco di cui si poteva tranquillamente far a meno, il disco fetecchia: “Lupercalia”!

Da dove partire per screditare questa nuova uscita discografica? C’è veramente l’imbarazzo della scelta, anzi, premetto che non parlerò del titolo nè tantomeno della copertina perchè sarebbe come sparare sulla croce rossa. Il povero Patrick Wolf in fin dei conti ci piace e anche tanto, ma a questo giro c’è poco da fare.
“Lupercalia” è figlio di una gestazione inquieta: annunciato col titolo “The Conqueror” come l’immediato successore di “The Bachelor”, ad oggi la miglior prova di Mr. Wolf, il disco passa in rassegna innumerevoli concept diversi, annunci di pubblicazioni e singoli di lancio, per vedere luce recentemente senza tuttavia destare l’interesse suscitato in passato. E dire che il cantante da questo punto di vista non è affatto rimasto con le mani in mano; non solo dal punto di vista del personaggio (annuncia matrimoni, denuncia aggressioni omofobe durante un concerto della più nota icona gay vivente – LOL) ma anche per quanto riguarda la sua musica, dando vita a quella che può esser facilmente definita la sua opera più commerciabile.

Come nei peggiori incubi la commercializzazione passa per il triste calvario della banalizzazione e dell’appiattimento sonoro. Non tanto ““riferendoci ai casi più pop del blocco- nella pur bella “Time Of My Life”, che in un certo qual modo non avrebbe sfigurato in “The Magico Position”, quanto più per le imbarazzanti “The City” e “House”, che data la loro bruttezza son state giustamente scelte come singoli. La prima, tra usi sconclusionati del sax ed epicità  gratuite, porta inquietantemente alla memoria la sigla di “Baywatch”, mentre “House” segue il medesimo ideale di pomposità  fine a se stessa corredandosi di uno dei videoclip più brutti che siano mai stati visti da occhio umano, quattro minuti di rivoltante poserismo.

Gli arpeggi di “Bermondsey street” non si discostano molto dalla formula precedente, mentre “The Future” e “Armistice” ammiccano pesantemente a “The Bachelor” (in particolare la seconda, sorta di “The Sun Is Often Out” 2.0, neanche troppo discutibile). Cosa salviamo da Lupercalia? Oltre alla già  citata “Armistice”, la bella “Together”, costruita su un giro di synth basso e incalzante, e “The Falcons”, ultimo pezzo in scaletta, tra sviolinate e un ritmo quasi dance piacevolmente pop.