Pesi massimi del metal nero più profondo nella primissima fase della loro carriera, gli Ulver sono diventati raffinati avanguardisti sonori nei loro successivi lavori, mescolando trip hop, industrial, elettronica, ambient, jazz e art rock. Personalmente parlando li ho scoperti tardi, all’epoca del mistico, bellissimo “Shadow Of The Sun” (2007), per poi recuperare anche le opere precedenti, sviluppando un amore particolare soprattutto per “Perdition City” (2000).

Lì dove il suono roboante dell’heavy rock finisce con uccidere ogni barlume di delicata luce poetica, lì dove il gothic rock diventa bolsa retorica fintamente esistenzialista, lì dove l’elettronica diventa fredda e robotica, lì si sono fatti trovare gli Ulver, capaci di ottenere il rispetto di tutta la comunità  musicale “alternativa” e altresì divenuti beniamini di quegli ascoltatori meno attenti alle etichette ma comunque affascinati da tutto ciò che è “noir” in musica.

I norvegesi comunque non hanno mai amato troppo la dimensione live. E infatti si è visto anche qui a Roma sul palco del Circolo. A parte i componenti della sezione ritmica, Kristoffer Rygg (alquanto svociato) e gli altri suoi sodali si sono mostrati freddi e distanti, nonostante una tracklist di tutto rispetto (ma anche in questo caso si poteva fare un po’ meglio…dove sono i pezzi di “Shadow Of The Sun”??). Tra i momenti più coinvolgenti ricordiamo la riproposizione della stupenda (essì anche on stage…) “September IV” con un Rygg davvero coinvolto almeno per qualche istante e quella di “Porn Piece Or The Scar Of Cold Kisses” da “Perdition City”. Gran risalto viene dato ovviamente all’ultimo nato “War Of The Roses” con ben quattro pezzi all’inizio, la scattante e torva “February MMX”, “Norwegian Gothic” (due palle…), “England” con le sue atmosfere solenni e la già  citata “September IV”. Pezzi come “For The Love Of God” e “In The Red” (da “Blood Inside”) e “Lost In Moments” (da “Perdition City”) perdono buona parte della loro affascinante aura notturna, a causa di una esecuzione sì precisa ma poco emotiva. Anche le immagini proiettati durante il concerto lasciano un po’ a desiderare: altro non sono che un’accozzaglia delle solite immagini vintage di angoscianti vecchi film, montate probabilmente con non troppo entusiasmo.

Intensi e spiritualmente profondissimi nei dischi in studio, i Lupi norvegesi sul palco sono apparsi come dei simpatici (neanche tanto…) mestieranti della musica. Meglio dunque Tornare ad ascoltare il Quattro di Settembre in cuffia, cercando di scovare frammenti di passione infuocata sotto la neve di una Scandinavia immaginaria…

Credit Foto: Christian Misje / CC BY-SA