Una carriera a due velocità , quella di Mr. Barrow. Se da una parte, infatti, il suo progetto principale ““ i Portishead ““ sono stati capaci di sfornare solamente 3 album in 18 anni, leggenda e cartella stampa (a volte le due cose ci confondono) vogliono che abbia scritto e registrato questo nuovo lavoro dei Beak in un pomeriggio. Non da solo, è ovvio, ma con Billy Fuller (Fuzz Against Junk) e Matt Williams (Team Brick) in un sodalizio che si rinnova a distanza di poco meno di una manciata di mesi dal debutto “Beak>”, che vide il trio girovagare a lungo e con successo tra il Regno Unito e gli Stati Uniti.
Il seguito s’intitola, ovviamente “Beak>>” e certamente non delude. D’altronde, se già il debutto aveva tracciato un percorso che portava il 2009 tra le memorie dei Can e di un krautrock cadenzato che scivolava sovente in rivoli di jazz e psichedelia pura, “Beak>>” non discosta ovviamente troppo dal suo predecessore. Da esso ne mutua il fascino per le istanze noise dei primi Sonic Youth o quelle frasi jazz che i Portishead accennano dalle labbra di Beth Gibbons da anni senza abbellirle di verbi e complementi oggetto per riportare il tutto alla luce in maniera diversamente simile.
La voce, dunque. Su “Beak>>” il cantato è poco meno di uno strumento disperso nell’impasto sonoro; è quel sillabare attutito da cui non si riesce a trarre un significato che non sia estetico e quindi fine a se stesso, quasi a suggerire l’uso dell’album quale fonte d’ispirazione per attingerne momenti da colonna sonora a metà tra il genere horror e un thriller dai sanguinosi risvolti noir.
Ma il sangue qui è non vero; tutt’altro. Fellini avrebbe amato i Beak perchè, come amava spesso dire, il suono artificiale della pioggia è mille volte meglio di quello reale. Proprio perchè esatto, ideale. E i Beak usano lo stesso paradigma: copiano e rileggono un genere per riportarlo fedelmente a ciò che era all’inizio: ma in una versione quasi perfetta.
Questo vale per il noise di “Kidney” cosi come per il post-punk (Joy Division?) di “Yatton”. O per il krautrock di “Spinning top” o l’electro (Trans Am?) di “Elevator”. Sono generi irreali, artificiali, completi.
Se ci venisse chiesto di tirare le somme e dovessimo riassumere il valore ““ in concreto: gli album costano ““ di “Beak>>” ci troveremmo in difficoltà . O forse no.
Basterebbe fare una media tra l’eccellenza delle influenze, le citazioni, l’esecuzione e lo stile, e la mediocrità dello sforzo inventivo, dell’originalità e l’effetto sorpresa. Una bella media, diciamo.
Ma diciamo anche che, se da un lato, coi Portishead Barrow lambisce l’Olimpo dei grandi, in tutto ciò che fa al di fuori tende al normale. I Coral, The Horrors, l’insipido progetto Drokk sono testimonianza della fallacità dell’uomo che, in fondo, un poco ci rincuora.
Ti tengo d’occhio, Barrow. Ti seguo e mi piaci poco. Alzerei il bavero, se ne avessi uno, mi accenderei una sigaretta, se fumassi. Porterei le dita nervose sul lettore portatile e metterei su la colonna sonora giusta per un corto su una spia (ovviamente) in incognito. L’hai scritta tu la musica perfetta. Ti odio, Mr. Geoff Barrow.