“Fractal” riprende  la linea rock-sperimentale dell’esordio “Jazz   With The Megaphone?” di  tre anni or sono; il jazz come impronta e ragione del cuore, il rock come strategia della tensione. Il trio milanese ricompone con lucidità  dialettica l’alt-metal dei primi anni 90′ ““ quello alieno al nu-metal più volgare e magnificato altrove da poderose sezioni ritmiche e slap bass goduriosi (vedi Primus e Ratm) ““ costruisce monumenti di metallo in onore di Black Sabbath o Melvins contiene la deriva generalista delle diverse influenze con una buona carica di autarchia compositiva e soprattutto una tecnica notevole.

E’ l’iniziale “Ziqqurat” ad elevarsi a manifesto sonoro dei Tongs; un jazz-core di scuola Zu, distensioni progressive e i Tool a spiralizzare con matematica precisione: uno degli episodi migliori insieme a “Fractal Anartomy” e “Wake Up, Get Up, Get Off”, personale ‘baciamo le mani’ al Les Claypool più infervorato;   “Sex in Sacristy” è puro hard rock   in stile Black Sabbath, quadrata e lineare. Alla lunga si rischia di cedere e di annaspare, soprattutto quando i tre si lasciano schernire da grappoli di malinconia grunge (“Scarecrow’s Gasp”)   o da melodie incolori (“Red Eye”). Riescono  comunque a  mantenersi sempre solidi e fragorosi,  tanto da raggiungere  livelli di   sedicenza liturgica più che plausibili anche nei cali di tensione.

Momenti minori dell’album l’interlocutoria interferenza  di “Meredemorte”,   ma  soprattutto la conclusiva “Italian Politics”, recitato in madrelingua in cui PierPaolo Capovilla ““ leader de Il Teatro Degli Orrori ““ declama la ricetta della pizza, assunta qui come metafora del sistema discografico che produce ‘talenti’ così come s’impastano ingredienti. Tutto vero, per carità , ma l’ardore culturale svanisce presto in vaniloquio manierista. Due minuti di vacuità  ieratica di cui i bravi Tongs  potevano  fare sicuramente a meno.