Hanno dalla loro il primato, con l’album “Marchin’ Already” ““ in un insospettabile 1997 ““ di aver dato una spallata agli Oasis facendoli capitombolare dalle vette d’Albione delle charts, poi successi mediocri sempre sotto la linea del menefreghismo d’ascolto generale, ma non si sono mai fatti prendere dallo sconforto che in questi casi potrebbe benissimo affittare chiunque; ed eccoli di nuovo qua, Simon Fowler al comando dei suoi Ocean Colour Scene, a ventuno anni dal debutto ufficiale tornano a rinverdire i fasti del loro brit-pop d’antan con “Painting”, una appunto verniciatina a nuovo che vuole tentare ancora di reclutare nuovi padiglioni auricolari.
Quattordici inediti messi insieme nell’anno appena passato e prodotti da Matt Terry, brani che non sono ostinati a ripercorrere tutte le indulgenze sonore di una lunga carriera alle spalle, ma che hanno una voglia pazza di “dirottarsi” altrove con uno spirito minimalista a percorrere nuove diramazioni, nuove territorialità ; i tre OCS Simon Fowler, appunto, insieme a Steve Cradock e Oscar Harrison, hanno il gioco forte nella melodia, quel frizzantino pop-rock pixellato da un folkly macchiettato ““ identità assoluta dei loro anni Novanta ““ ora viene iniettato da leggere spruzzate accomodanti field che guardano la West Coast americana come musa integerrima “We don’t look in the mirror”, la titletrack, “Doodle book”, per poi tornare “a casa” e salutare certi Who scapestrati “If God made in everyone”, “Professor perplexity” e una deferenza di note Beatlesiane che in “Mistake identify” si rotolano come in un campo di margherite in fiore.
Per corollario, sitar, finger picking, archi, un pensiero a certe brutalità sociali, banjo e voglia di restare in sella, a “cavallo” di due millenni in un momento resistenziale dove tutto quello che ciondola nella musica d’intorno non ha più la forza d’immedesimarsi nel protagonismo assoluto. Piacevole senza ottenerne tante pretese.