Un certo gusto per i giochi di parole (non solo il nome stesso della band, ma pure i titoli originali dei due ep qui raccolti) e la materia trattata mi avevano fatto sospettare un origine italiana per questi Free Nelson Mandoomjazz, sulla scia di tutta quella scena, insieme pesante e quasi sperimentale (dagli Zeus agli Appaloosa, per esempio) che spesso si diverte a storpiare e rielaborare ironicamente nelle intestazioni di brani e album. Invece i tre Free Nelson Mandoomjazz sono scozzesi, direttamente dalla capitale Edimburgo, ma nulla hanno da invidiare alla creatività dei nostri gruppi sopracitati: se la formula è palesata già nel nome scelto, anche attitudine e talento non tardano a manifestarsi.
Nei quarantasette minuti del disco bisogna esser pronti ad immergersi nelle atmosfere esoteriche e drogate suggerite dal massiccio basso di Colin Stewart, mentre il sax contralto di Rebecca Sneddon sembra invocare una via di fuga, ora ribelle ora livoroso, ora celestiale ora disperato; a ricucire gli strappi tra i due protagonisti arriva infine il drumming misurato e frizzante di Paul Archibald.
Tutt’altro che monotoni, i due ep (che citano rispettivamente Ornette Coleman e Sonny Rollins) non si limitano soltanto ad una, pur eccezionale, scaletta prettamente doom-jazz: non mancano infatti momenti più vivaci, dal be-bop di sapore davisiano con cui si apre “K54” (originale del compositore Domenico Scarlatti) agli scarti avanguardisti “Nobody Fucking Posts To The UAE”, e in certe occasione tornano alla mente i groove serrati ed irresistibili degli inglesi Acoustic Ladyland.
Non si tratta propriamente di un esordio, è piuttosto un raccogliere quanto seminato prima di partire, ma “The Shape of Doomjazz to Come/Saxophone Gigantus” introduce comunque un nome nuovo e promettente alla nostra attenzione: prestate un ascolto ai Free Nelson Mandoomjazz, il tempo è tutto dalla loro parte.

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2. Into the Sky
3. The Mask of the Red Death
4. Nobody Fucking Posts to the UAE
5. K54
6. Saxophone Giganticus
7. Black Sabbath