Chi ama la vita tendenzialmente ama pure il cioccolato.
Non so se qualcuno ha mai pensato un simile brocardo ma non mi sembra molto lontano dalla realtà . Personalmente, a me non piace la cioccolata ma mi rendo conto di potermi rapportare ad un inciso del genere solo in un rapporto di eccezione e regola. Insomma, come in ogni ragionamento distinguerei quelli che sono i gusti personali dall’oggettività  delle cose: nel caso specifico, cioè, che la cioccolata è universalmente riconosciuta come un esempio lampante di bontà  e del bello della vita, indipendentemente dalle preferenze personali.
Tutto questo giro di parole è funzionale unicamente a giustificare la frase che sto per dire e a fare in modo che nessuno si senta offeso da quello che seguirà : chi ama la musica tendenzialmente ama gli Arcade Fire.

Come la bontà  del cioccolato lo è tra i fornelli, la bravura ed il talento del gruppo canadese è una realtà  tangibile, al di là  dei gusti che, ovviamente, sono incontestabili. Senza mezzi termini e sbilanciandosi parecchio, parliamo probabilmente di quelle band che stanno a guardarci da lassù, da quello Zenit musicale destinato ai grandissimi.
Ora, partendo da questi presupposti, recidere il cordone ombelicale che ti lega agli Arcade Fire per affrontare un lavoro da solista è sicuramente un’arma a doppio taglio: certamente, da un parte avrai tutte le attenzioni di quel gruppo di ascoltatori fidelizzati che ti sei guadagnato negli anni , ma, allo stesso tempo, avrai su di te anche tutte le aspettative che hai alimentato con i tuoi lavori precedenti all’interno di un collettivo.

Ecco, questa premessa era necessaria per approcciarsi a Will Butler ed a “Policy”, il suo primo album da solista. Noi tutti infatti conosciamo Will come il fratello minore di Win, frontman degli Arcade Fire. Lo conosciamo come quello che fa il “lavoro sporco”, sfuggendo alle luci della ribalta e correndo da uno strumento all’altro durante i live. Lo conosciamo come il George Harrison degli Arcade Fire: quello che ci sa fare e che, rimanendo nell’ombra, ti dà  una grossa mano a tenere in piedi la baracca. Un po’ l’anima del gruppo, ecco.
Era forse lecito aspettarsi da lui quindi un album che fosse un lavoro certosino e ragionato come sono sempre stati gli LP degli Arcade Fire.
Niente di più lontano dalla realtà : “Policy”, è un album diretto e grezzo, registrato in una manciata di giorni agli Electric Lady Studios di New York. Un Cd che tradisce un bisogno incontrollabile di esprimere quello che riesce meglio all’autore, ed in fretta.
E’ meglio quindi approcciarsi al Cd dimenticandosi per un attimo di “Reflektor” e prendendo invece come punto di riferimento le cinque canzoni che Will Butler ha scritto per il Guardian nell’ultima settimana di febbraio, un brano al giorno, prendendo spunto sempre da un fatto di cronaca diverso riportato nel quotidiano.

Già  dal primo brano, “Take My Side”, traspare l’anima di questo album. Un rock divertente, classico e spontaneo, anni luce distante dalla musica emozionale e a tratti “profetica” degli Arcade Fire. E’ puro Garage Rock che parla di se stesso, in maniera diretta e schietta. E scorre da dio.
“Policy” sin dall’avvio viaggia a ritmi frenetici: ci si ritrova trasportati dalla stile acustico, scanzonato, divertito e “Soul” a tratti di “Son of God” fino al rock meno curato e quasi adolescenziale di “What I Want”.

Ovviamente, come in qualsiasi album che rispetta i canoni settati dai classici del rock, non mancano neanche i momenti più delicati e riflessivi, per tirare il fiato, come “Finish What I Started”, che è praticamente un’anticamera che apre a “Crown of Love” degli Arcade Fire: stessa carica emotiva e stessa andatura cadenzata ma meno sovrastrutture, così com’è nello spirito dell’album.

C’è anche un piccolo rimando agli Arcade Fire e, soprattutto, a “Reflektor”, in Something’s coming, che già  ad un primo ascolto tradisce il filo rosso che la lega a brani come Here Comes the Nightime e, andando ancora più indietro, a quello che è la grande eredità  lasciata alla musica pop da parte dei Talking Heads e David Byrne. (Provate a confrontare Will Butler che, più che cantare, recita, in questo brano, al Byrne di “Once in a Lifetime”).

In questo frenetico susseguirsi di brani orecchiabili, è “Ann”a a spiccare in maniera particolare. Una traccia di esemplare Synth Pop che ti conquista al primo ascolto, portandoti al centro di un’archittettura di strumenti e voci ,minimale ma labirintica, impreziosita da un ritornello super catchy in cui Butler ripete, incarnando il mantra dell’uomo medio Money, money, money, money, money, mo-money, money.

Tirando le somme, “Policy” è un album che colpisce e che soddisfa l’ascoltatore per una ricerca della melodia che non è troppo ricercata ma che è diretta ed efficace, e per una media dei testi decisamente elevata.
D’altra parte, però è un album che è destinato a lasciare un segno molto sbiadito nell’ascoltatore non possedendo quel “quid” necessario per durare nel tempo. E’ uno svago per chi lo ascolta, niente di più.
Certo, tutti sappiamo di cosa sia capace Will Butler, e che da lui possiamo aspettarci album di tutto altro spessore, ma, considerando cosa già  ci ha lasciato negli ultimi dieci anni, forse sarebbe ingeneroso biasimarlo ora che prova semplicemente divertirsi e divertirci un po’.