Capita in media quattro o cinque volte l’anno, di sentir nominare questa o quella band come la next big thing. Ci ho fatto l’abitudine. Si è fatto un gran chiacchierare, negli ultimi mesi, dei Blossoms, i quali rientrano a pieno titolo nella categoria di cui in apertura. Non sappiamo dire, a questo punto, cosa ne sarà  di loro in chiave futura, non abbiamo la sfera di cristallo per sapere se effettivamente cambieranno la scena. Ciò che possiamo affermare è che l’esordio discografico di questa band di Stockport (Manchester) arriva con un viatico di roboanti dichiarazioni e pre-recensioni. Tutto molto bello, anche se a noi piace porci degli interrogativi e toccare con mano.

La Gran Bretagna ““ da sempre foriera di piccolo gemme disseminate lungo tutto l’arcipelago ““ ha fame di talenti e di una nuova corrente che possa cambiare radicalmente i connotati alla propria scena musicale. Il sostrato nel quale si innestano questi cinque ragazzi, con la voce di Tom Odgeon in testa, non però è quello rock “‘n roll degli anni ’70. Non è avvicinabile all’ondata Britpop di un ventennio più tardi, nè tanto meno la fugace esperienza indie rock di un paio di lustri fa. Blossoms vengono descritti come un bizzarro incontro tra ABBA  e Arctic Monkeys. Mi allineo senza indugi al paragone, con tutto il rispetto per i sopra citati, perchè “Blossoms” suona esattamente come me lo aspettavo: sterile.

Le 12 tracce dell’album si snodano in una cornice radiofonica che ““ parliamo comunque col beneficio del dubbio ““ farà  le probabili fortune della band e di Virgin, etichetta sotto la quale esce questo disco. E’ una commistione tra indie pop e ben poca fantasia. Non quella che avevo riconosciuto, se non alto, nei primi EP, usciti a cavallo tra 2014 e 2015. Ci sono i synth dell’opening track “Charlemagne” e poche cose degne di nota in “Getaway” o nel riff di “Honey Sweet”. E’ un insieme melenso,  a tratti quasi indisponente, almeno alle orecchie di chi scrive. Il quadro si rivela effimero perchè nel prosieguo di “Blossoms” gli acuti (salvo “Blow”, uno dei primi singoli della band) sono pochissimi. La piattezza generale è poi appesantita anche da una durata forse eccessiva, per essere un esordio.

Rimane poco (di certo non la voglia di premere play ancora), una volta giunti in fondo a questi 40 minuti. Le carte dei Blossoms sono tutte sul tavolo e in ordine preciso, ma l’impotenza di questo disco è evidente a parer di chi scrive. Il tempo dirà  dove questi ragazzi di Stockport potranno arrivare. Certo è che con un primo passo del genere – giacche in pelle da rockers consumati, NME a tesserne le lodi et cetera – è lecito attendersi un futuro a cavalcare certe ondate modaiole piuttosto che inventare o (re)inventarsi.