Foto tra il romantico e lo splatter quella che domina la copertina del secondo album degli Starcrawler. Giovane band californiana che avrebbe voluto nascere negli anni settanta quando il rock era arte provocatoria, pericolosa e trasgressiva. Anche le provocazioni invecchiano però e dopo l’esordio omonimo pubblicato l’anno scorso gli Starcrawler ci riprovano. Si affidano a un produttore come Nick Launay (Nick Cave, L7, Yeah Yeah Yeahs, Anna Calvi) abile nel dare spazio ai riff giusti.

L’asso nella manica del quartetto è la frontwoman Arrow de Wilde che insieme al chitarrista Henri Cash, al bassista Tim Franco e al batterista Austin Smith si è costruita una buona reputazione live a suon di concerti feroci e inquietanti. Trasferire su disco quell’energia è ben altra cosa e non molte band riescono nell’impresa. Gli Starcrawler non fanno eccezione e inanellano brani più riusciti e altri meno. Il ritmo trascinante del singolo “Bet My Brains” faceva ben sperare ma il resto del disco punta più su riff di facile presa e ritmi tra il rock e il glam (“Home Alone”, “You Dig Yours”, “Hollywood Ending”) sentiti fino allo sfinimento.

Meglio il rock blueseggiante di “No More Pennies” e “Call Me A Baby”, non completamente a fuoco ma interessante soprattutto per l’intuizione di affiancare alla voce della de Wilde quella di Henri Cash. il potenziale dei quattro emerge chiaramente solo nella seconda parte dell’album, con il sound sporco e l’aggressività  di “I Don’t Need You” e “Rich Taste” che fanno scomparire la leggerezza dei brani precedenti.

Hanno mille influenze gli Starcrawler e dopo due album devono scegliere che strada seguire. Essere rocker puri o praticare il pop punk orecchiabile e vantaggioso sperimentato in “Toy Teenager” e “Tank Top”. La personalità  di Arrow de Wilde funziona sul palco ma da sola non salva la partita. “Devour You” cerca di accontentare tutti e in realtà  non soddisfa completamente. Se fosse uscito a inizio millennio o appena qualche anno fa avrebbe forse avuto maggior fortuna. Oggi guadagna una sufficienza e nulla più. La grinta del primo album è comunque un ricordo lontano.

Credit foto: Autumn de Wilde – Rough Trade