Emo’s not dead.

Mi piace l’idea di cominciare a scrivere dei Moose Blood con questa piccola provocazione. Si fa un gran parlare di questa (fantomatica) nuova ondata  indie/emo, si fa un gran citare di tutti i nuovi volti di una scena dai più forse dimenticata ma mai completamente svanita, rischiando talvolta di perdere un po’ il filo del discorso. Ne sono state la riprova, del resto, una serie di episodi discografici sparsi negli ultimi anni, decantati da molti, ma sinceramente non abbastanza consistenti da piantare radici salde nel nostro immaginario.

Ci sono anche le eccezioni e questo è il caso di Moose Blood, che non necessitano di grosse presentazioni a due anni dal più che apprezzato “I’ll Keep You In Mind From Time To Time” e consolidatisi nella scena live per un impeccabile qualità  di esecuzione e di presenza scenica. Sono un quartetto di Canterbury (UK), cresciuto a pane e influenze elettriche a stelle e strisce. Alzi la mano chi non vi riconosce almeno un pizzico della metà  degli anni ’90 (chi conosceva il roster di Deep Elm Records all’epoca, sa di cosa parlo) o dei più recenti Modern Baseball. Tornano a farsi sentire con un nuovo album – “Blush” – tra le più fresche e frizzanti uscite di Agosto 2016, sotto l’etichetta Hopeless Records.

Fanno capolino con una ben assestata “Pastel”, pezzo che prende immediatamente in una veste di essenziale – ma mai banale – guitar rock. La tonalità  più spiccatamente emo(core) del disco assume consistenza con il passare dei 35 minuti nei quali si snodano le 10 tracce totali. Le cose più interessanti Eddy Brewerton e soci le fanno sentire quando scelgono di lasciarsi andare, evitare i formalismi e confezionare quel suono che li aveva contraddistinti all’esordio. Con un tocco più maturo e sicuramente più adulto, in una eterogeneità  che il lavoro  va ad assumere attraverso le varie “Knuckles”, “Sulk”, Glow”. L’animo un po’ malinconico e sognante di “Blush” va a definirsi quando l’atmosfera si incupisce leggermente. Escono qui, i migliori Moose Blood di questo album, tra le chitarre distorte di “Sway” (a parere di chi scrive una delle vette assolute), oppure nella rabbia di “Shimmer”.

E’ il passaggio che conduce in porto, perchè l’atto finale “Freckle” ci riporta con la memoria ad almeno un ventennio fa, tra ritmiche incalzanti e una voce che si innesta in maniera disordinata nel quadro. I’m getting so damn tired of falling out every morning when we talk: si chiude così, con dei puntini di sospensione, il viaggio emozionale dei Moose Blood. “Blush” era atteso ed ha confermato in buona parte le aspettative. Questi quattro emo rockers di Canterbury sembrano aver  imboccato il binario giusto, quello di una crescita artistica che con le giuste corde potrebbe portarli alla definitiva ribalta in un futuro non troppo lontano. Questo album ha forse un pizzico di “sfrontatezza” in meno rispetto a quello che fu l’esordio due anno fa, ma preso singolarmente ha una personalità  ben definita.