Per parlare del primo album solista di Paul Draper, mi piace partire da una frase che mi ha detto per l’intervista realizzata con lui per il mensile ‘Rockerilla’: “Penso davvero   che questo lavoro sarebbe potuto essere il terzo disco dei Mansun se fossi stato lasciato libero di fare da solo”.

La frase racchiude in sè il messaggio di come, nella sua precedente band, erano 4 le teste attive e partecipi sul sound e quindi Paul non aveva certo libertà  assoluta di manovra per realizzare tutto quello che aveva in mente, ma la seconda cosa che se ne può dedurre è anche quella di una voluta e necessaria continuità  dell’artista con il suo passato, che non è affatto messo in soffitta, ma anzi, risulta essere importante e necessario per capire questo pregevole “Spooky Action”.   E questa è davvero una cosa “buona e giusta”. Sono passati troppi anni dallo scioglimenti dei Mansun eppure la (solida) fan base della formazione di Chester non ha mai spesso di sperare non tanto in una reunion, oggettivamente difficile, quanto in un esordio di Draper, che finalmente è arrivato, con una forza vitale e propositiva dirompente, capace di cancellare quelli che potevano essere i dubbi su una pausa così lunga.

Se, come lui stesso rivela, i fan dei Mansun troveranno indizi, riferimenti e rimandi, più o meno velati, allo storico passato di quella band, è inevitabile notare anche dove Paul ha lasciato andare comunque libera la sua creatività , schiacciando il pedale dell’accelleratore su una scrittura variegata e su una forte volontà  di sperimentare a livello sonoro, che, certo, non toccherà  i vertici del visionario “Six” ma dimostra come il Nostro non abbia mai avuto intenzione di sedersi sugli allori e realizzare il prodotto di maniera per nostalgici. Synth che saturano l’aria, anche a discapito delle chitarre (che non mancano, sia chiaro, ma non hanno certo la predominanza), ritmi variegati che vanno dalle fascinazioni quasi da jam session di “Don’t Poke The Bear” alla new-wave di “Who’s Wearing The Trousers”, passando per magie avvolgenti come in “Jealousy Is A Powerful Emotion” e il pop (quasi!) sbarazzino di “Can’t Get Fairer Than That”. Libero da pressioni e nello stesso tempo libero anche di agire in autonomia (la presenza di Catherine Anne DaviesThe Anchoress– in fase di scrittura di alcuni brani non è certo stato da freno, ma da stimolo) Draper si diverte, come ha sempre dimostrato di saper fare, a giocare con la struttura dei brani così come ci soprende con ambiziosi vocalizzi e originali approcci vocali ai diversi brani, come mai gli era capitato in passato.

Se la forma quindi soddisfa e solletica i palati più fini ed esigenti anche la sostanza è positiva, con una ricerca melodica tutt’altro che banale e scontata. Le melodie fluiscono limpide, giocando però a nascondersi e a rifarsi vive, mentre la nostra attenzione si sposta su altro, per poi, piacevolmente, riessere catturata dal giro che ci aveva colpito in precedenza: Paul Draper è maestro in questo e ancora una volta lo dimostra. Certo, ci vuole attenzione. Non è un disco “usa e getta” e non bastano pochi ascolti, ma fin da subito entra sottopelle, su questo non ci sono dubbi. Mancava da troppo tempo Paul Draper, un ritorno così lo riporta al posto e alle attenzioni che merita: bentornato!