Diventare papà segna, c’è poco da fare. In un disco/testamento che Kele Okereke vorrebbe lasciare alla figlia, appena nata, per quando sarà più grande non c’è spazio per la disco music, per i beat e per le luci abbaglianti, no, c’è la volontà e la necessità di dimostrarsi maturo e riflessivo (e con questo non vogliamo certo dire che chi faccia EDM sia poco maturo!) e a prevalere sono i suoni acustici, spartani e folk.
Resta l’idea che davvero questo disco avrebbe potuto restare una cosa “in famiglia”, una cosa privata tra lui e la sua bambina, per non perdere quelle caratteristiche d’intimità che invece Kele vuole mantenere, nonostante la proposta al pubblico più ampio. Noi lo ascoltiamo, apprezziamo a tratti, ma forse ci manca quel legame (come invece ha una figlia con il padre) per entrare in pieno nell’album. I suoi “nuovi” riferimenti ora paiono essere tanto Elliott Smith quanto Nick Drake, con una matrice folk che abbraccia anche una valenza più teatrale (“Capers”) e sa farsi anche pimpante (“Do U Right”). Certo la presenza dei fiati così come del piano da brio, vivacità o quantomeno arricchisce il sound, ma a tratti siamo in soluzioni un po’ troppo scolastiche, seppur suggestive e malinconiche.
Citazioni doverose per l’ombrosa “Yemaya”, nobilitata dall’uso degli archi che spiccano per la loro melodrammaticità , “Version Of Us” in cui la semplicità del brano è nobilitato comunque da una melodia toccante e dalla voce di Corinne Bailey Rae e “Portrait” in cui, ancora, archi e piano fanno il loro onesto lavoro in una canzone che ha quasi uno spirito invernale insito in sè.
Si reinventa ancora una volta Kele, stavolta per la figlia. Siamo sicuri che la fanciulla quando sarà più grandicella apprezzerà , ma chissà se preferirà anche farsi 4 salti con il sound dei dischi precedenti…