E’ dal lontano 2002 che il buon Joshua Garman dispensa musica sotto il nome Crash City Saints. Intorno a lui, spesso, tante facce spesso nuove, con una line-up decisamente intercambiabile e, sicuramente, non molte uscite discografiche a dispetto dei tanti anni di pratica (il loro precedente album è “Glow In The Dark Music” del 2010). Eppure la sua passione non è mai venuta meno. Il nuovo album è una vera e propria “chiamata alle armi” per tutti quelli che, ancora, amano la musica indie-rock degli anni ’90, proveniente da entrambi i lati dell’Oceano. Dagli Smashing Pumpkins ai My Bloody Valentine, passando per Catherine Wheel e gli alfieri della Madchester, giusto per dare qualche riferimento in linea di massima. Insomma ce n’è per tutti i gusti.

Dovessimo giudicare un disco solo dalla sua originalità , beh, potremmo già  chiudere baracca e burattini e liquidare in fretta questi misconosciuti veterani dell’indie, ma non siamo certo qui per basarci solo su quell’unico metro di riferimento, ci mancherebbe altro. Chi non è mai uscito dagli anni ’90 musicali o chi, come il sottoscritto, pur apprezzando le proposte degli anni 2000, pensa che quello sia stato un momento unico e irripetibile, beh, andrà  sicuramente in estasi per un lavoro simile, vera e propria enciclopedia sonica di quel periodo. Uno spirito assoluto di mirabile devozione, con omaggi per nulla velati e una capacità  melodica da 10 in pagella, fanno si che il disco risulti assolutamente piacevole e che, nonostante tutto, abbia il suo “perchè”.

E’ quasi un dispiacere elencare i riferimenti diversi presenti in ogni brano, per cui lasceremo a voi ascoltatori il compito di farlo, eppure è impossibile non citare come lo spirito di Billy Corgan e compari appaia a dare la sua benedizione in “Smile Lines”, così come in “Spirit Photography” siamo in pieno “Chapterhouse trip” o in “Act 2” ci sembra proprio che Kevin Shields venga e ci porti in paradiso con lui. Che le chitarre siano declinate sul verbo “power-pop” (la contagiosa “Use Once The Dispose”) o che trovino un carburante ritmico decisamente vigoroso (“The Hour Of The Wolf”) il risultato non cambia: la melodia è sempre al primo posto e questo per noi è il “lasciapassare” più importante.