Signori e signore…BOOM! Eccolo qui il disco che a fine anno ti scombussola i piani. Sei già  li pronto con la tua lista, con la tua classifica dei dischi dell’anno e pensi che nulla ormai, arrivati a novembre, potrà  scombinarti le votazioni e invece no, arrivano dischi simili e di tale caratura che ti tocca prendere la gomma e cancellare tutto.

I Casper Skulls partono da una base anni ’90 bella solida, decisamente noise-pop se vogliamo, ma intorno a questa ossatura ci costruiscono cattedrali melodiche che prendono spunti, con disinvoltura assoluta, da gente come Pavement, Pixies e Sonic Youth se vogliamo stare in America, ma anche Delgados, Urusei Yatsura e Wedding Present sull’altro lato dell’Oceano, il tutto condito da una perfetta conoscenza del verbo post-punk.

Il gioco magico degli incastri vocali tra Melanie St. Pierre and Neil Bednis si posiziona perfettamente in un dinamismo sonoro che ci lascia piacevolmente sorpresi ad ogni brano, mentre la band riesce splendidamente a smarcarsi dai modelli citati, grazie a soluzioni melodiche sempre accattivanti ed eccitanti. La solidità  strumentale che si apre alla melodia in “You Can Call Me Allocator”, gli archi avvolgenti di “Lingua Franca” prima dell’esplosione trionfalmente pop nel ritornello, l’attacco quasi alla Echo and The Bunnymen di “Primeval” che ci stordisce tra dolcezze e distorsioni, la semplicità  guitar-pop di “Chicane, Oh”, il profumo dream-pop/shoegaze di “I Stared At “‘Moses and the Burning Bush'”, la circolarità  sostenuta di “The Science of Dichotomies” e quel riverbero magnifico che ci accompagna in “Faded Sound”, la superba traccia finale.

Non è il mio stile citare così tante canzoni, ma stavolta mi sono sentito in dovere di farlo, perchè ogni brano ha una sua vitalità  e quella caratteristica vincente che gli permette di guadagnare, sempre, quel mezzo punto in più in personalità  e questa non è cosa da poco! Applausi meritatissimi!