Sembra tutto così perfetto e studiato nei minimi particolari per i Vast Asteroid, supergruppo Californiano composto da Mimi Star al basso (The Warlocks), Mark Reback alla batteria (Slaughter And The Dogs) e il cantante/chitarrista James Poulos. Sembra tutto così ultraterreno, irreale, mistico ascoltando le tracce di questo debut album che miscela Britpop, Shoegaze, Space Rock, Desert Rock e quel pizzico di Art Grunge che rettifica il tutto al centesimo di millimetro.

“Vast Asteroid”, un self titled concepito nella caotica Città  degli Angeli e partorito tra il caldo infernale del deserto del Mohave, più precisamente nel leggendario Rancho de la Luna di David Catching a Joshua Tree, il tutto con la supervisione dell’ingegnere del suono e produttore Andy Freeman, intrappolato nello studio per una settimana assieme alla band in un’atmosfera magica e unica. Otto brani quelli contenuti nel disco “‘self-released’ due dei quali, “Sick” e “Poison Fang”, usciti come singoli nei mesi scorsi e presentati al gran completo per ora solo in forma digitale.
Un album magnetico che imprigiona l’ascoltatore in un sogno interspaziale attraverso i suoni ricreati dai 3 Californiani che curano nei minimi dettagli il “‘songwriting’ essenziale e mai banale. Suoni psichedelici e corposi su una ritmica tremendamente potente, un muro di Fuzz che fa urlare le chitarre tra echi distorti pungenti e penetranti mentre la lirica calma e cristallina si articola in totale tranquillità  tra un miscuglio armonioso ricreato dagli strumenti. Cosa particolarmente apprezzabile è la mescolanza tra la componente melodica del cantato e la nevrosi psichedelica delle chitarre come nel brano “Vivid Dream”, dove le ritmiche dense e pesanti conferiscono un’atmosfera generale più cupa rispetto agli altri brani.
E se durante l’ascolto ci sembra di ascoltare qualcosa di già  sentito, incuriosisce invece la già  sopra descritta amalgama di quei sottogeneri specifici dell’alternative, dove echi, risonanze e rumore si prendono per mano verso un viaggio atmosferico senza fine. Tutto si condensa in una parola specifica coniata dalla stessa band che descrive proprio il risultato di quella miscela di suoni fusi insieme e vissuti sotto il cielo stellato del deserto Californiano: “‘spacegaze, spacegaze, spacegaze‘ mi rimbomba nella testa da qualche settimana, un termine dalla morfologia perfetta che mi ha rapito completamente incuriosendo e stuzzicando la mia fervida immaginazione.
“Spacegaze” è proprio anche l’ultimo brano dell’album, un’odissea di suoni ondeggianti e “‘dronizzati’ che si mischiano tra loro mentre la chitarra impazzita dell’ospite d’onore, David Catching, completa alla perfezione il tutto come una ciliegina sulla torta. Può risultare a molti ovvio o forse scontato, un lungo brano di chiusura in perfetto stile Drone, Noise, Heavy Shoegaze. Forse non necessario, chi può dirlo? Di sicuro bellissimo, stupendo, profondo.

Vi invito a provare a chiudere gli occhi e ad ascoltare questi 17 minuti di “Spacegaze” analizzando i singoli suoni senza pregiudizio o paragone. Riuscirete a sentire il temporale che si è abbattuto nel deserto del Mohave sopra al Rancho de la Luna mentre i Vast Asteroid registravano, riuscirete anche a distinguere i suoni delle campanelle che risuonavano mosse dal vento, mentre la pioggia placava la polvere desertica e le stelle rimanevano spettatrici di uno spettacolo unico al mondo.
Ve l’avevo detto che sembrava tutto così perfetto, ma forse semplicemente lo è.