Ritornano gli australiani DMA’s al terzo album in studio, e dopo l’uscita della loro performance per MTV Unplugged.

Band che dall’esordio di “Hills End” del 2016 vive con la nomea di portabandiera di un potenziale britpop revival, con i fratelli Gallagher che si sono nel tempo esposti in merito, accrescendone ancor più l’hype attorno: Noel che non li apprezza, Liam che se li porta in tour (ed al pub a vedere le partite del Manchester City).

I DMA’s in fin dei conti sono però una band piuttosto semplice, almeno nei suoi componenti principali: il cantante Tommy O’Dell s’atteggia a paladino pop-rock anni ’90 supportato da una voce niente male, brit e nasale quanto basta con buona rotondità  ed ecletticità , ma senza phisique du role, Johnny Took alla chitarra acustica mette in fila i soliti 6 accordi, senza denotare particolari doti, Matt Mason, questi evidentemente il più dotato del trio, imbraccia l’elettrica ma non disdegna la sperimentazione tra synth e tastiere (nell’MTV Unplugged sovra richiamato l’abbiamo visto anche alle prese col violoncello con discreti risultati).

Sono però anche una band che sembrerebbe non starci a fermarsi ad un limitante britpop revival, ma ad un revival a più ampio respiro, cercando In “The Glow” anche virate – magari convinte nelle prerogative – più sintetiche ed elettroniche: è di timido stampo baggy “Never Before”, mentre nella titletrack si cerca magari di mettersi in scia ai New Order, finendo però per fare la figura dei più recenti The Killers.

Anche due dei singoli già  diffusi, “The Silver” e la bordata (?) rave “Life Is a Game of Changing”, finiscono però per non convincere. Così come non strappa certo applausi “Cobrocaine” dove tra vocoder e autotune O’Dell veleggia in territori elettrolitici. Passabili, nulla di più.

Inutile ricercare valore aggiunto nei testi, sin troppo banali, triti e ritriti, masticati da ormai migliaia di cantanti in giro per la storia del pop: le stucchevoli “Learning Alive” e “Appointment”    sono nel mezzo del cammino come messe lì a ricordarcelo.

E’ con “Criminals” però che si tocca un punto basso che sarebbe potuto essere evitato tranquillamente: dance pop stucchevole, con stacchi sincopati quasi cacofonici, degni dei peggiori Panic! At The Disco. A volergli bene. Di un Justin Bieber poco ispirato – si perdoni la figura retorica – ad essere più realisti.

Peccato, perchè quando i DMA’s provano ad alzare i giri con le chitarre , ben lungi dalla memorabilia ma comunque dignitosi melodisti, qualche buon risultato viene fuori (“Round & Around”, “Hello Girlfriend”) .

Quello che manca agli aussie fino ad adesso sono però le canzoni: iconico il fatto che sulla piattaforma Spotify il brano più ascoltato sia la cover di “Believe” di Cher e difficilmente vengono associati ad un proprio pezzo di quelli in faretra. E per una band che vorrebbe fare musica comunque ad alta gradazione pop non è il miglior segnale.

Personalità  e concretezza cercasi disperatamente. Se non bocciati, sicuramente rimandati. Il tempo è comunque ancora dalla loro.

Photo Credit: McLean Stephenson