La musica dei The Telescopes non è sicuramente un prodotto per tutti, richiede anzi una visione distorta e assolutamente anticonformista rispetto al concetto convenzionale di musica. Si parla di suono, si parla di essenza stessa delle sonorità  che si articolano senza nessun tipo di controllo o disciplina. Un’esperienza sonora che non lascia scampo una volta che si ha il coraggio di farla propria.

A pochi mesi dall’uscita dell’evanescente, ruvido e complicato “As Light return” (leggi la nostra recensione), i Telescopes si ripresentano sulla scena con un nuovo disco questa volta concepito, suonato, arrangiato e prodotto dal solo Stephen Lawrie, leader e mente storica della band.

“Stone Tape” è il nome dell’album di sei tracce che inaugura la nuova serie di dischi proposti dell’etichetta italiana Yard Press sotto la supervisione di Giandomenico Carpentieri, che per questo progetto mira ad una stretta collaborazione con i vari artisti coinvolti, in un ambiente libero e senza limiti creativi.
E cosa c’è di meglio che perseguire il proprio progetto sperimentale e concettuale senza limiti creativi imposti?
Niente. Infatti Lawrie progetta al millimetro un concept album perfetto per l’occasione e si racconta tramite una tematica incredibilmente affascinante. Si parla appunto della “‘Stone Tape Theory’ ipotizzata nel 1961 dall’archeologo e parapsicologo Thomas Charles Letherbridge, secondo il quale oggetti inanimati possano in qualche maniera assorbire emozioni e vibrazioni degli esseri viventi, in particolar modo quelle generate in momenti traumatici o emotivamente importanti. Qualcosa di concettualmente molto ambizioso e per niente scontato ma allo stesso tempo tematicamente perfetto e appropriato alla band inglese. Ed è proprio qui che Stephen Lawrie dà  il meglio di se, plasmando un album che si differenzia dal precedente “As Light Return” risultandone a confronto più discostato e multiforme.

La voce che sussurra immersa in un’aura allucinogena, tra suoni oscillanti e risonanze che si mischiano in un risultato scomposto che annichilisce il concetto convenzionale di musicalità . Come al solito la componente melodica non è invitata alla festa, l’ambiente è tetro, malinconico cupo e di disagio, tra frangenti psych e risonanze Shoegaze . è tutto così discostato ma perfettamente amalgamato in un clima surreale che si crea di canzone in canzone mentre la parte filosofica del concetto racchiuso nella “‘Stone Tape Theory’ prende forma.

L’apice a mio avviso si raggiunge proprio nella parte centrale dell’album, il brano “Everything must be” è la canzone perfetta che spicca su tutte in momento intenso tra dense sonorità  cicliche e risonanti che vengono scalfite da poche e malinconiche note di pianoforte, scelte alla perfezione. Una canzone che per gli amanti del genere, come chi scrive, risulta semplicemente perfetta e che crea dipendenza.
Un album, per gli amanti del genere, da avere assolutamente.

Abbiamo avuto la fortuna di fare proprio a Stephen Lawrie un paio di domande poco dopo il concerto al Freakout di Bologna. Qualche domanda veloce con conseguente risposta rapida e indolore, a volte chiara e diretta altre ampiamente spiazzante, il tutto lascia ampio margine interpretativo come appunto la stessa musica dei The Telescopes.

Ciao Stephen, vi ho visto al Frekout Club a Bologna, come è andata?
Era tutto in perfetta sintonia ma io me ne sono andato altrove, in un’altra dimensione, è così che mi è sembrato.

Pensi che i live siano un importante mezzo comunicativo per creare un collegamento diretto con il pubblico?
Dipende dal tipo di musica e dalla natura del suo flusso d’ispirazione. Se parliamo della musica dei The Telescopes, beh allora si, la musica è una conversazione con chi ti sta attorno, anche se ad un’altra componente della musica del gruppo non interessa un cazzo se in quel momento c’è un pubblico o no.

The Telescopes : tre parole per descrivere la vostra musica.
Oltre la realtà .

Chi ti ha maggiormente ispirato nella musica?
Lo scrittore,antropologo e filosofo Francese Gearge Bataille.

“Stone Tape”, il nuovo lavoro dei The Telescopes, cos’ha di diverso dai vostri precedenti lavori?
Ogni album che faccio è differente dall’ultimo, ma allo stempo sono tutti collegati tra loro.

So che è basato sulla “‘Stone Tape Theory’ cosa ti ha affascinato in particolar modo dell’argomento.
Il dolore, la sofferenza.

Quando è nato il materiale dell’album? è tutta roba nuova o c’è anche qualcosa concepita nel passato?
Un misto di cose, ho sparso parecchi semi che hanno germinato a loro tempo, con il proprio ritmo.

I vostri ultimi album hanno avuto una buona risposta dal pubblico, ti aspetti lo stesso per questo nuovo album?
L’unica cosa che mi aspetto ogni volta che faccio un album è che la mia relazione con la musica cambi.
Una volta che la nostra musica viene pubblicata la gente tende a farsi un’idea, un’opinione personale e questo è semplicemente fantastico. Io faccio del mio meglio per non mettermi in mezzo a questo processo in modo da non influenzare le idee degli altri.

Quanto importante è l’improvvisazione nella musica per te?
Beh, nominami un’idea musicale che non sia nata in un’improvvisazione”…

E cosa ne pensi della scena underground inglese?
Non credo nell’Inghilterra, Londra ha fatto fallire tutti. La scena underground qui è molto più d’èlite di quanto si creda.

Ascolti o ti piace qualche band Italiana in particolare?
Si, gli Holiday Inn da Roma.

Domanda di rito : progetti futuri?
Finire tutti gli album che ho nella testa e poi sparire.