Una storia lunga, importante, forse in parte sottovalutata quella dei canadesi Cowboy Junkies, che da sempre continuano per la loro strada, dispendando ottima musica, di quella cha attiva il cuore ma anche la mente, lontana dalle luci della ribalta e della classifica ma vicina alle suggestioni umane più sincere che hanno bisogno tanto di conforto, così come di discutere, analizzare, capire e, a volte, anche addolorarsi e riflettere.

I Cowboy Junkies sono insieme dal lontano 1985, con la stessa line-up di allora hanno ormai pubblicato 16 album e questo nuovo “All That Reckoning” non mostra alcun segno di cedimento o mancanza di convinzione, anzi, ancora una volta non mancano quelle doverose variazioni sul tema principale che sanno rendere la proposta sempre interessante e accattivante, anche per chi li segue da lungo tempo.

I musicisti di Tornoto si trovano alla perfezione, l’alchimia empatica tra Michael, Margo, Peter e Anton crea assuefazione, in queste pesanti penombre che si muovono tra alt-country e rock-blues mentre suggestioni ipnotiche e contemplative permeano l’ambiente. Eppure non aspettatevi solo toni scuri, bassi e decadenti. Tutt’altro. La chitarra di   Michael Timmins è più viva e graffiante che mai (“Sing Me A Song”, le impennate sporche di “Missing Children” o “All That Reckoning, PT.2”), trovando la solita splendida complicità  nella voce della sorella Margo, versatile (e questo la sapevamo) ma sopratutto capace di modulare e trasmettere lo spirito e il mood del brano (e di ciò di cui sta cantando) anche all’ascoltatore. Perchè in sostanza si parla di noi, della vite di tutti, dei nostri amici, degli amori, delle speranze, dei matrimoni, delle rotture e dei casini che si susseguono nella nostra quotidianità  e Margo è sempre stata credibile in questo. Se aggiungiamo che, questa volta, il tutto è inserito anche in un contesto in cui forte e acuto è anche l’occhio a una società  sempre più insensibile e menefreghista e alla politica (un lavoro più macro del solito quindi), beh, i punti a favore dei testi aumentano ancora di più, perchè la band non guarda solo indietro con nostalgia (e in alcuni punti lo fa con grande suggestione) ma è capace di analizzare anche i tempi presenti con grande acume e preoccupazione.

Evocativi ed eleganti (“The Possessed” è di una bellezza indescrivibile, in quella splendida semplicità  che mette in risalto il cuore delle cose) forse i Cowboy Junkies non raggiungeranno nuovo pubblico con questa uscita, ma chi li ama sa di avere fra le mani una delle loro migliori uscite, sia come testi sia come spunti melodici. Ne siamo convinti.