In che epoca viviamo? Non provate a chiederlo a Daniel Lopatin, aka Oneohtrix Point Never. Il titolo monco del suo nono lavoro in studio, “Age Of”, esprime tutta l’incertezza di un periodo storico in cui nessuno vuole davvero prendersi la responsabilità  di dare definizioni o interpretare in maniera chiara fenomeni al limite del comprensibile. A volte però, come si suol dire, un’immagine (o, in questo caso, una copertina) vale più di mille parole.

Che il nome completo del disco si nasconda quindi dietro lo schermo incredibilmente luminoso del MacBook Air che, come lo scrigno di un leggendario tesoro, si schiude davanti agli occhi di tre signore che sembrano uscire direttamente da un catalogo di vendita per corrispondenza di qualche decennio fa? Non ha alcuna importanza. Lo scopo non è offrirci chiavi di lettura, ma tradurre in musica un’era ibrida fatta di contraddizioni, eccessi e tanta, tanta confusione.

I consueti collage elettronici, costantemente in bilico tra tentazioni digitali e nostalgie vintage, assumono forme incredibilmente pop in brani come “Babylon”, “The Station” e “Black Snow”. La voce di Lopatin, seppure sepolta sotto tonnellate di vocoder ed effetti vari, torna a farsi sentire in uno dei suoi album più “cantati” di sempre; come se non bastasse, a fargli compagnia al microfono ci sono ospiti di assoluto livello quali Anohni e Prurient.

Non mancano tuttavia i momenti strumentali, che anzi rappresentano il piatto forte di “Age Of”. Tra sample e manipolazioni di ogni sorta, Oneohtrix Point Never si conferma ancora una volta uno degli esponenti più talentuosi della musica elettronica votata al saccheggio. Nel 2018 è lui uno dei pochi a portare avanti il verbo “plunderphonico” di John Oswald senza cedere al richiamo modaiolo (e anche un po’ noioso ormai) della vaporwave. In quasi quindici anni di carriera Lopatin è riuscito a costruire un suono tanto contaminato quanto personale; una miscela di ambient, IDM, downtempo e psichedelia immediatamente riconoscibile e, per quanto strano possa sembrare, in più di qualche passaggio anche di facile ascolto.

Sperimentazione e motivi quasi orecchiabili si incontrano nelle melodie suggestive di “Toys 2” e “RayCats”, nelle venature barocche di “Age Of” e nel pastiche industrial-new wave di “Same”, mentre in altri momenti dell’album (“myriad.industries”, “Last Known Image Of A Song”, “Warning”) sembra di essere all’ascolto di una collaborazione impossibile e “glitchata” tra Raymond Scott e Boards Of Canada.

Un continuo scontro di epoche, spunti e generi diversi al quale Lopatin ““ in questo caso con il fondamentale supporto di James Blake – riesce a dare un senso compiuto. Peccato solo per l’assenza dell’effetto sorpresa: non che la formula abbia smesso di funzionare, ma le atmosfere di “Returnal” e “Replica” erano un’altra cosa.

Photo: Warp Records, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons