Una biografia dei Disciplinatha mancava. Mancava. Usiamo l’imperfetto, perchè a colmare questa gravissima lacuna ci ha pensato il buon Giovanni Rossi, scrittore che in curriculum ha già  libri su Roger Waters, Mike Patton e Nine Inch Nails e tutta una serie di pubblicazioni che lo rendono sicuramente penna autorevole per descrivere, al meglio, uno dei gruppi più affascinanti e controversi della storia della musica italiana. “Tu Meriti Il Posto che Occupi” (Tsunami Edizioni, volume cartonato di circa 600 pagine) uscirà  a fine novembre, ma non nelle librerie, attenzione: è già  pre-ordinabile a questo sito.

Alla luce di questa imminente pubblicazione, abbiamo deciso di scambiare due chiacchiere con l’autore, per farci raccontare il percorso che ha portato a una biografia che, sinceramente, non vediamo l’ora di leggere e ammirare!

Giovanni buongiorno, come stai?
Molto bene, grazie!

Allora, la prima domanda è scontata, ma mi pare un buon punto di partenza. Come ti è venuto in mente di scrivere una biografia sui Disciplinatha? E la band come ha preso questa cosa?
Cinque anni fa, durante la presentazione del mio libro sugli Einsturzende Neubauten, conobbi Dario Parisini, chitarrista dei Disciplinatha. Scambiammo alcune parole, ma fu sufficiente, perchè dopo quella sera qualcosa si mise in moto: i Disciplinatha erano uno dei gruppi con cui ero cresciuto e mi pareva incredibile che nessuno avesse ancora pensato di raccontare la loro storia. Volevo assolutamente farlo perchè i Disciplinatha erano stati un’incarnazione artistica più unica che rara, definirla solo musicale mi sembra riduttivo e la loro singolarità  nella musica italiana tanto imprescindibile, quanto sottovalutata. Ne parlai con Tsunami, il mio editore, che mi disse come avesse ricevuto lo stesso suggerimento da un’altra persona appassionata dei Disciplinatha, proprio in quesi giorni. Mi parve un segno. A quel punto ricontattai Dario per raccontargli la mia idea. Ricordo benissimo la sua risposta: “Lo sai in che casino ti stai cacciando?“. In effetti non immaginavo sarebbero occorsi quasi cinque anni per realizzare l’opera, e non potevo neppure sapere come l’argomento Disciplinatha per molti fosse ancora un tabù, anche a distanza di tanti anni dalla loro scomparsa, come mi hanno testimoniato il rifiuto a partecipare al libro da parte di diverse persone a cui avevo chiesto di intervenire con loro dichiarazioni. Compresi subito da quei rifiuti, su cui sia ben chiaro non voglio dare alcun giudizio, che stavo scrivendo il libro giusto. Nonostante la scherzosa ammonizione iniziale Dario fu gentilissimo e mi aiutò a contattare tutti i membri del gruppo, che senza esclusioni si diedero completamente disponibili a collaborare al libro. Pazientemente, in questi cinque anni, mi sono sempre stati tutti a fianco per completare al meglio il lavoro. Spesso leggo di giornalisti e scrittori che, una volta conosciuti i loro idoli, vedono crollare un mito perchè si trovano improvvisamente di fronte a persone che non sono ciò che si erano prefigurati. Con i Disciplinatha per me è stato l’opposto: li avevo conosciuti musicalmente da ragazzino come dei giganti, li ho conosciuti in questi anni come vere Persone.

Per parlare di un gruppo simile immagino che, in primis il lavoro di ricerca sia stato tantissimo. Dove hai setacciato tutto quello che poi ti è stato utile nel libro? Quanto hanno collaborato i membri del gruppo?
A parte le riviste dell’epoca, gli articoli di giornale, le recensioni e tutto il materiale di quegli anni, il supporto del gruppo è stato fondamentale. Inizialmente ho sottoposto tutti loro a un fuoco di fila di domande che li ha tenuti impegnati a rispondere per oltre un anno. Lo stesso ho fatto con altri artisti che hanno collaborato con loro e che hanno fornito spunti preziosissimi per leggere il mondo Disciplinatha. Con alcuni ci siamo visti di persona, altri invece li ho sentiti telefonicamente o via mail. Alla fine il libro è composto per la sua quasi totalità  di materiale testuale inedito, in cui i Disciplinatha si sono raccontati nel dettaglio, regalando anche molti aneddoti e particolari che neppure conoscevo. Molti di loro mi hanno anche messo a disposizione i loro archivi di immagini e foto, altro elemento che rende quest’opera davvero completa. Potremmo dire che il libro l’ho scritto io, ma che la voce è quella di Cristiano, Daniele, Dario, Marco, Valeria, e tutti gli altri Disciplinatha.

Contradditori, cinici, provocatori, ironici, proiettati al futuro. I Disciplinatha hanno lasciato un segno indelebile. Mi chiedo se, nella tua biografia (che ovviamente ancora non ho letto), sei stato tentato di lavorare solo sui pregi della band o comunque sei andato anche a scavare nei lati bui e complessi?
Ovviamente si, la tentazione era tanta, perchè avevo a che fare con uno dei miei gruppi preferiti e il rischio del taglio celebrativo era dietro l’angolo. Ma come avevo già  sperimentato in altre mie pubblicazioni come quelle su Trent Reznor o Mike Patton, alla fine credo sia più interessante mettere a nudo tutto ciò che si ha davanti, piuttosto che fissarsi sui dettagli migliori. Solo così si può cogliere l’artista in senso compiuto. E devo dire che in questo i Disciplinatha mi hanno aiutato molto, non esitando a raccontare dissidi, problematiche, divergenze e tutto quello che può minare l’esistenza di una band. In questo credo che il libro sia riuscito molto bene, proprio perchè si nutre di voci che ancora oggi raccontano l’esperienza Disciplinatha con punti di vista diversi. Non dimentichiamo che stiamo parlando di un gruppo formato da caratteri forti, determinati, a tratti inconciliabili, perennemente in conflitto con se stesso e in costante equilibrio sul bordo del dissolvimento, fino alla sua implosione finale. Credo che la grande qualità  di questo libro risieda proprio nell’aver dato spazio a tutte le voci, dall’iconoclasta impetuosità  di Dario alla concretezza di Cristiano, dall’analitica precisione di Daniele alla spontaneità  di Marco, dal romantico fervore di Simone alla delicatezza di Valeria. Da parte mia ho cercato di evitare le trappole del revisionismo e delle distorsioni emotive, che in operazioni come queste sono sempre dietro l’angolo. Poi nel libro c’è spazio ovviamente per lo sviluppo della disamina iconografica, testuale, scenica, aspetti che facevano discutere allora e ancora lo fanno oggi, un lato molto complesso che cerco di ripercorrere al meglio.

Parlare dei Disciplinatha tira in ballo anche un realtà  musicale come quella del Consorzio Suonatori Indipendenti o comuqnue tutto il fervore degli anni ’90. Ti sei un po’ soffermato sulle realtà  che “giravano intorno” al mondo Disciplinatha?
Nel libro parlo anche della società  di quegli anni, di Bologna, del movimento nato intorno al Consorzio e dei rapporti tra i Disciplinatha e altri gruppi o artisti di quel periodo. Non tanto per fare paragoni o per essere didascalici, anche perchè i Disciplinatha non hanno mai avuto forti contatti con altri artisti, quanto per contestualizzare un fenomeno musicale che in moltissimi non avevano compreso e che anche tra gli artisti del periodo era di difficile lettura. Alcuni di questi artisti sono tra le voci del libro, altri come ho già  detto hanno preferito non parlare perchè l’argomento Disciplinatha e le tematiche collegate, ancora oggi, risultano per loro troppo “delicate”.

Curiosa la scelta di non uscire in libreria e di muoversi su una edizione limitata. Mi spieghi come mai?
Una scelta nata dalla forma che ha preso il libro, una forma che inizialmente non ci eravamo prefigurati, ma che si è plasmata da sola nel corso della scrittura e che alla fine è andata oltre le più rosee aspettative. E’ presto detto: 600 pagine di inserto a colori più altre 32 pagine, centinaia di illustrazioni, grafica curata da quel grande artista che è Dinamo Innesco Rivoluzione, un altro dei motivi di grande orgoglio che ho per questo libro. Alla fine si tratta di un’opera ponderosa, ricchissima anche dal punto di vista iconografico, qualcosa che abbiamo visto più adatto alla diffusione tra appassionati e cultori, piuttosto che allo sguardo occasionale in libreria o in canali mainstream; una scelta che ha anche permesso di contenere i costi finali che altrimenti sarebbero ulteriormente lievitati. Questo ha consentito di non scendere a compromessi sulla matericità  dell’opera, lasciando la possibilità  a Tsunami di confezionare un manufatto artistico che sono certo renda perfettamente giustizia alla straordinaria tradizione iconografica della band. Chi metterà  le mani su questo libro avrà  in casa un oggetto artistico di vera bellezza, da parte mia posso affermare con partigianeria e parzialità  che si tratta del libro più bello del pur incredibile catalogo Tsunami!

Dopo aver tracciato una biografia così corposa dei Disciplinatha mi chiedo come giudichi il loro percorso. Caso più unico che raro? Mosche bianche? Gruppo irripetibile?
Irripetibili sicuramente. Unici altrettanto. I Disciplinatha sarebbero potuti nascere solo a Bologna, in quegli anni, così come i già  citati Neubauten a Berlino, o i Laibach a Lubiana. I Disciplinatha hanno saputo essere profeti inascoltati (andare a leggere quanto avevano predetto su società  e politica per credere…), hanno saputo instillare il dubbio permanente, si sono saputi inimicare pubblico di destra e pubblico di sinistra, sono stati superficialmente liquidati come provocatori da chi non li comprendeva, sono stati in grado di creare una proposta musicale che in quel momento non aveva eguali. E non dimentichiamolo, stiamo parlando di un gruppo che è arrivato ad avere un singolo in rotazione in televisione e a suonare sul palco del 1 ° Maggio. Quando penso a loro, penso a The Young Gods, a Laibach, ma solo per la carica innovativa, il coraggio e la complessità , non certo per il contenuto, perchè loro hanno disegnato un percorso nuovo, assolutamente originale nel panorama musicale di quegli anni. E non imitato. Nessuno ha tentato di mettersi sulla stessa strada, nè in quegli stessi anni, nè dopo.

Dalle ceneri dei Disciplinatha sono nati i Dish-Is-Nein. C’è posto anche per loro nel tuo scritto?
Non parlo dei Dish-Is-Nein, che pure mi piacciono moltissimo, perchè volevo soffermarmi solo sui Disciplinatha. Volevo che quest’opera contenesse tutta la storia di ciò che è stato Disciplinatha e degli artisti che hanno suonato per questo straordinario gruppo. Credo che i Dish-Is-Nein siano la prosecuzione di un discorso, ma senza nostalgia o reiterazioni, al contrario, con una personalità  forte e definita come è quella di ognuno dei sui membri.

Tra i tuoi libri figurano uscite su colossi come NIN, Mike Patton, Roger Waters. Al di là  di percorsi artistici, di scelte musical e di generi, c’è qualcosa, magari un sottile filo di Arianna che collega tutti i “protagonisti” delle tue biografie?
Si. Mi piace raccontare l’artista, ma soprattutto l’uomo. Credo che solo comprendendo appieno l’uomo si possa comprendere l’artista. E mi piace raccontare di persone la cui arte è tanto intensa, viscerale e complessa, quanto lo è la loro personalità . ll punto di partenza è sempre la musica che mi appassiona, perchè non sono in grado di scrivere di qualcuno la cui arte non mi colpisce veramente. Trent Reznor, Roger Waters, Mike Patton, Claudio Simonetti e ora i Disciplinatha sono esattamente questo: artisti e personalità  straordinarie, con percorsi artistici unici e grandi storie da raccontare.

Grazie ancora Giovanni. Con quale pezzo dei Disciplinata potremmo chiuedere la nostra chiacchierata? Mi spieghi il perchè di una determinata scelta?
“Leopoli”. C’è il metallo, c’è l’industrial, c’è la guerra, c’è l’assedio permanente. E’ lì che tutto ha avuto inizio.