Avevamo conosciuto i Catholic Action nel 2017, quando avevano pubblicato il loro primo gradevolissimo LP, “In Memory Of”, un delizioso disco indie-pop impreziosito da ottime melodie e spunti interessanti. Tra pochi giorni (venerdì 27 marzo via Modern Sky) i ragazzi di Glasgow realizzeranno il loro sophomore, “Celebrated By Strangers”, e noi abbiamo approfittato di questa occasione per contattare via e-mail il frontman Chris McCrory e parlare del nuovo album, delle influenze, del SXSW, di politica, della Brexit e della loro Scozia. Ecco cosa ci ha raccontato:

Ciao, come state? Il vostro secondo album uscirà  tra pochi giorni: come vi sentite? Siete soddisfatti del risultato?

Ciao, stiamo bene. Stiamo girando per Newcastle prima del nostro concerto di stasera.
Sì, sono molto orgoglioso del nostro nuovo disco. Penso che sia molto più strettamente allineato con chi siamo sia a livello personale che musicale.

Parliamo del titolo del vostro nuovo LP, “Celebrated By Strangers”: quale significato c’è dietro a esso? Chi sono questi sconosciuti a cui vi riferite?

E’ una frase tratta da “I’m No Artist”, la canzone scritta da Jamie (Dubber) presente sul disco. Credo che riassuma la nostra esperienza di essere in una band al nostro livello nell’era moderna. C’è una disconnessione tra i social media e la realtà  fisica, sullo schermo tutto sembra migliore e più luminoso ““ spesso ti chiedi per chi lo stai facendo, se non interamente per te stesso. Chi sono quelle persone a cui piace ciò che stiamo facendo? In un certo senso sono ancora lì nei numeri. E questo ancora mi fa meravigliare.

Come il vostro debutto sulla lunga distanza, anche “Celebrated By Strangers” è stato prodotto dal vostro frontman Chris McCrory: come mai avete deciso di occuparvi voi stessi della produzione? Pensate che in futuro potreste decidere di lavorare anche con un produttore esterno?

In passato abbiamo avuto alcune esperienze negative con produttori esterni ““ persone che non hanno capito ciò che stavamo cercando di fare come band.
Fare il produttore è praticamente il mio lavoro, mi sposto tra studi a Glasgow, Liverpool e Londra per produrre band. E’ ciò che paga il mio affitto. E conosci il vecchio detto”… se vuoi qualcosa fatto bene, fallo da solo!
Ci piacerebbe lavorare con un produttore esterno, qualunque cosa faremo in futuro. Ora siamo pronti.

Il vostro nuovo album è stato mixato ai leggendari Parr Street Studios di Liverpool da Rich Turvey (Blossoms, Cabbage, The Coral), che aveva già  lavorato per voi per “In Memory Of”. Che cosa ha aggiunto al mix? Siete contenti del suo lavoro?

Rich ha portato i miei mix grezzi dell’album a un altro livello. E’ un mixer molto più poppy rispetto a me, ma ha capito ciò che stavamo cercando e ne ha preso il meglio. Siamo assolutamente soddisfatti del suo lavoro e vogliamo senza dubbio collaborare ancora con lui.

Nella press-release avete scritto che con il vostro nuovo disco vi siete ritrovati a cercare un significato, definire un’identità , attaccare il potere, puntare il dito ed esigere responsabilità . Puoi sviluppare un po’ di più questi temi? Che cosa ne pensi della Brexit e di questi tempi tristi sia per la società  che per la politica?

In questi giorni è tutto, non trovi? Hai a malapena il tempo per un’identita personale e per puntare il dito. Tutti sono un po’ arrabbiati e persi.
Credo che la Brexit sia una tragedia assoluta e una grande perdita di tempo. E’ uno spasmo mortale xenofobo ““ una sorta di fantasia imperiale sciovinista che va in fiamme.
Inoltre è un tentativo molto ben riuscito di mantenere la classe operaia molto in basso in Gran Bretagna e i conti offshore al sicuro dalle leggi fiscali dell’UE.

Il vostro recente singolo “People Don’t Protest Enough” contiene influenze elettroniche, ma ha anche un significato politico: per che cosa dovrebbe protestare la gente? Parla solo della Brexit o c’è qualcosa di più dietro a questa canzone?

Le persone sono così distratte, disunite e disilluse qui che generalmente non si preoccupano di protestare e al massimo condividono una petizione online.
Dobbiamo andare nelle strade. Quando le persone organizzano, le cose vengono fatte, Siamo molti più noi che loro. Perchè credi che loro stiano provando così tanto a distrarci e a tenerci divisi?
Non è solo la Brexit, è tutto quanto. L’ambiente, l’austerità , la lenta erosione della nostra autonomia e della nostra dignità . Le persone sono così inumane in questi giorni. E stanno soffrendo enormemente per questo.
Quante persone conosci che soffrono di ansia e depressione? Le loro menti non sono il problema, ma è la società .
Spero che a un certo momento collasseremo e faremo qualcosa per questo.

Una delle mie canzoni preferite del vostro nuovo disco è la conclusiva “Four Guitars (For Scottish Independence)”. Credi che la Scozia debba indire un nuovo referendum e magari diventare indipendente e ritornare nella UE?

Sì, assolutamente. Ho votato per l’indipendenza scozzese e tornerei subito a farlo ancora.
La Scozia è un paese molto diverso sia a livello politico che sociale. Siamo trattati con totale disprezzo e indifferenza da Westminster e credo sia arrivato il momento di muoversi e andare avanti.
In Scozia abbiamo bisogno di una democrazia progressiva, inclusiva ed europea.

Anche se i temi del vostro disco non sono particolarmente felici, il vostro suono mi sembra parecchio ottimista. Ascoltando il vostro disco mi è sembrato di sentire l’influenza dei Franz Ferdinand in più di una canzone. Credi che possano essere stati una fonte d’ispirazione per voi? Che musica ascoltavate, mentre stavate scrivendo il vostro secondo LP?

Penso che i paragoni siano inevitabili, essendo anche noi una guitar band proveniente da Glasgow, ma non ho mai ascoltato tanto i Franz Ferdinand.
Credo che comunque abbiamo ascoltato la stessa musica. Sparks, Eno, Can, Roxy Music, ecc.
Ho ascoltato molta musica prog e art-rock degli anni ’70, mentre stavo scrivendo questo disco. Yes, King Crimson, Neu, Talking Heads, ESG, Iggy Pop, ecc. Alcuni dei mie preferiti più recenti sono Crack Cloud, Chris Cohen, Drug Dealer, Cate Le Bon e Aldous Harding.

Come funziona il processo creativo nella vostra band? C’è una persona in particolare che scrive i testi e/o la musica oppure si tratta di un qualcosa di collaborativo?

Abbiamo alcuni approcci differenti, alcuni coinvolgono di più la band, altri, invece, partono da me che lavoro con un Casiotone in studio (“People Don’t Protest Enough”). Di solito io scrivo tutti i testi, ma Jamie ha scritto “I’m No Artist”.

Suonerete al SXSW ad Austin nei prossimi giorni (intanto il festival è stato purtroppo cancellato a causa del coronavirus). So che siete già  stati lì: che cosa vi aspettate da questo festival? Vi piace o pensate che sia troppo caotico?

Sole e facce amichevoli. Ci divertiamo sempre. Più vado e più tendo a evitare il centro di tutto e cerco di esplorare. Austin e la sua area circostante sono davvero belli.

Avete qualche nuova band interessante da suggerire ai nostri lettori?

Ascoltate Chris Cohen, se non lo avete già  fatto. E poi tornate indietro a recuperare Alice Coltrane e Mulatu Astatke, se non li avete già  sentiti.

Un’ultima domanda: per favore potete scegliere una vostra canzone, vecchia o nuova, da usare come soundtrack di questa intervista?

“There Will Always Be A Light”.

Photo Credit: Gemma Dagger”‹