Un passato da batterista punk, un presente da raffinato cantautore e un futuro roseo tutto da scrivere: fosse uno slogan sarebbe perfetto per sintetizzare la parabola di Francesco Riva, alias Franz, poliedrico e talentuoso musicista brianzolo.

Ma tra i solchi del suo disco d’esordio in realtà  si nasconde molto di più, il suo è un centrifugato di esperienze e di istanze musicali che, se è vero che possono essere racchiuse nel mare magnum della canzone d’autore, ci rivelano altresì diversi aspetti peculiari, che lo pongono all’attenzione come uno di quegli artisti da seguire.

Il suo nome comincia a girare quando con la canzone “Settembre” giunge secondo al “Premio Fabrizio De Andrè 2019” ma nell’ambiente musicale era già  noto con la rock band 7Marzo (da riscoprire l’album “Vorrei rinascere in un lama”, uscito tre anni fa).

E’ però evidente lo scarto stilistico tra quelle canzoni immediate e ruspanti e le 10 tracce – compresi due brevi strumentali che denotano il forte imprinting classico: Franz è diplomato in composizione al Conservatorio – incluse in questo album, intitolato “Dietro a ogni cosa”.

L’autore infatti in modo tanto ambizioso quanto consapevole, riesce a coniugare la sua indole rock a un immaginario cinematografico e visivo che necessariamente si dispiega attraverso arrangiamenti al più orchestrali, maestosi, intrisi come sono di strumenti atipici nel panorama pop.

Troviamo quindi ad affiancarlo in studio Federico Donadoni al contrabbasso, Costanza Scanavini e Beatrice Marizzoni (rispettivamente primo e secondo violino), Viviana Piazza al clarinetto, Valeria Gariboldi al corno, Giuseppe Bonifacio alla tromba e Beppe Gagliardi alla batteria, senza tralasciare come special guests Stefano Iascone alla tromba (già  collaboratore di Jovanotti) e Paolo Agrati che presta la sua suggestiva voce narrante ne “Il lungo addio”, una delle tracce più riuscite del lotto.

In mezzo a tutto ciò Franz si è occupato di scrivere testi e musiche, suonare il pianoforte e di curare l’orchestrazione e, nonostante l’apporto di validissimi elementi, è indubbio quanto emerga in tutta la sua pienezza una forte personalità .

Non si tratta di un debutto misurato, in cui si ha paura di rischiare, tutt’altro: sin dall’imperioso incipit della prima traccia (la già  citata “Settembre”) si viene avvolti in un’atmosfera adrenalinica, tra umori cangianti e la particolare policromia di suoni. Ci è sembrato giusto partire subito col botto, ma anche la successiva “L’America” è ragguardevole e riesce a colpire al cuore con i suoi rimandi esistenziali, il ritornello accorato e un arrangiamento complesso ma arioso. Si arriva poi al particolare esperimento di unire spoken e canzone propriamente detta nella swingante “Il lungo addio”, con echi del grande Paolo Conte in lontananza.

Dopo un primo interludio in cui fluttuano libere le note del piano con archi grevi a far capolino, una ventata di freschezza giunge con “La canzone popolare” che, al di là  del titolo che rievoca facilmente un altro nume tutelare, è proprio quella che maggiormente è assimilabile al mondo dei cantautori, con in più una splendida coda beatlesiana. “Ricordi” è invece caratterizzata da una musica splendida, incalzante e vivace ma poco assecondata dal testo, invero il più debole della raccolta.

Il brano eponimo racchiude efficacemente la poetica del Nostro, si tratta di una ballad che poi si trasforma repentinamente in molto altro, di sfuggente e ammaliante fattezza, con felici escursioni in territori morriconiani. Anche il testo, ispirato a “Il deserto dei Tartari” del grande Dino Buzzati, non tradisce certo le aspettative.

Dopo un secondo inserto pianistico, il finale è alquanto ambivalente e mostra due facce altrettanto credibili di un artista che, giunti a questo punto stiamo imparando a conoscere nelle sue prerogative. Da una parte troviamo la saltellante e istrionica “Fred Astaire”, forte di un testo bizzarro (con brevi versi in dialetto) ma che esprime a suo modo la passione per alcuni mostri sacri musicali; dall’altra la poesia acustica de “Gli specchi”, la canzone senz’altro più narrativa dell’intero album.

Franz si apre al mondo con un lavoro diretto nelle liriche e nel cantato, e assolutamente dinamico, aperto, libero nelle strutture musicali: il suo “Dietro a ogni cosa” finisce così col rappresentare una ventata d’aria fresca nel panorama della canzone d’autore, ambito in cui si candida sin da ora come possibile rivelazione dell’anno.