Che mix assurdo, quello di Napoleone: “Amalfi” diventa il punto di snoda sulla rotta Sidney-Los Angeles, portando tanta napoletanità  (che bella, questa parola, nell’era dell’annullamento delle radici, dell’anonimato generazionale) in un impianto musicale che dimostra di avere spalle larghe e polmoni elastici, capaci di respirare a latitudini diverse, senza apnee e sbalzi di pressione.

Amalfi è lo sfondo imprevedibile di un brano che ammicca a sonorità  internazionali: il basso che introduce il testo non può che ricordare le linee di Tame Impala, mentre la scelta dei sintetizzatori rimanda ai suoni in voga sempre di più nell’Italia musicale che fa ricerca, ma ben conosciuti e consueti oltralpe; è in un contesto così apparentemente esterofilo, che affonda le sue lunghe radici la scelta linguistica di un brano che non ha paura di confrontarsi con quella lingua d’arte che è il napoletano: se Liberato sembrava aver definitivamente sdoganato l’utilizzo del dialetto nella nuova musica pop, è anche vero che la scena nazionale continua ad ammiccare verso Nord, in una prolassi di proposte musicali intente a simulare gli usi e i costumi della città  meneghina, seconda – per emulatori dialettali – solo a Roma, capitale del nuovo mainstream.

Insomma, il succo del discorso è che scrivere un bel ritornello (perchè scritto bene, al di là  della lingua utilizzata) in napoletano nel 2020 sia da considerare un atto di coraggio non indifferente; la miscela diventa esplosiva perchè l’impatto internazionale riesce a non svilire il piglio pop tipicamente italiano della canzone, esaltandone melodia ed emotività . Bravo Napoleone.

 

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La scaramanzia ci accompagna da secoli, per questo abbiamo deciso di tornare nei luoghi della memoria per un rapido saluto ed una benedizione.

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