di Riccardo Cavrioli e Riccardo Oliboni

Se mi chiedeste qual è la band per la quale pagherei oro o farei carte false per vedere una reunion vi risponderei senza esitazione: “Longpigs”. La band di Sheffield, guidata dall’estro di Crispin Hunt mi è rimasta nel cuore con due album bellissimi, “The Sun Is Often Out” (1996) e “Mobile Home” (1999). Tra pochi giorni la Demon Records ristamperà  (in vinile blu) il primo album citato. Ghiotta occasione per ritrovare un disco ormai fuori catalogo da tempo. Potevamo farci scappare l’occasione di scambiare due chiacchiere proprio con Crispin Hunt? Assolutamente no e vi confessiamo che l’emozione è stata tanta. Parlare con uno dei propri idoli non è mai cosa facile o scontata. Eppure la gentilezza e la disponibilità  di Crispin sono state lampanti fin da subito.
Hunt oggi è non solo autore e compositore, ma anche Presidente della Ivors Academy (una delle più grandi associazioni professionali di scrittori di musica in Europa): ecco perchè il nostro discorso è andato a toccare ovviamente i Longpigs ma anche l’aspetto più politico e controverso del fare musica e dell’avere un guadagno soddisfacente per i musicisti.

Guardo i dati di vendita di Amazon e noto che le ristampe di Longpigs, Marion, Menswear@r e Gene stanno vendendo molto già  in prevendita. Cosa significa questo per te, Crispin? è solo nostalgia del passato? O Il Britpop (una semplice etichetta, niente di più, ovviamente) si è davvero trasformato da qualcosa di disprezzato in qualcosa di rispettato?
L’interesse è davvero incoraggiante, sono davvero commosso che la musica dei Longpigs sia sopravvissuta 25 anni, significa molto per me. Hai ragione nel dire che Britpop era ormai una copertuna per le label per ogni band guitar-pop, ma è interessante come quell’epoca sia stata rivalutata. Proprio come la musica degli anni ’80 è stata riconsiderata. Anche io ammetto di amare, adesso, un po’ di più la musica degli anni ’80, dopo averla detestata crescendo proprio in quegli anni. Sai, non credo che sia tutta nostalgia, credo che sia lo streaming e YouTube abbiano permesso a una nuova generazione di scoprire ottima musica, piuttosto che andare a cercarla nella collezione di dischi dei loro genitori. Potrebbe essere così?

Leggendo le biografie di Luke Haines, Brett Anderson e Louise Wener, notiamo che negli anni ’90 c’erano alcuni elementi importanti, citati da tutti e tre gli artisti: il ruolo della stampa, la necessità  di trovare un’etichetta, la conquista dell’America e la centralità  di Camden Town (dove droghe e personaggi stravaganti erano la routine). In tutte e tre le biografie emerge l’idea che il Britpop non è nato (come vuole il mito) dal basso, non c’è stata una reazione sociale, nè un sentimento comune, ma sono state stampa e case discografiche a capire che in quel momento la gente lo voleva e tutto ruotava intorno ad esso. Scusa il lungo preambolo, ma vorrei capire la tua opinione, non solo su quest’ultimo aspetto, ma anche sull’America, perchè gli stessi Longpigs hanno cercato di fare il botto in USA.
Come dicevamo sopra, i media cercheranno sempre di trovare un’etichetta per categorizzare la nuova musica. L’NME e Melody Maker erano ossessionati dal catalogare la musica. Il mio addetto stampa, Phil Savage, di Savage and Best, ha il merito di aver coniato il termine Britpop, lo hanno sicuramente coniato loro che erano un’eminente agenzia di PR del periodo Britpop. Ma suppongo che con l’avvento di Blair e l’improvvisa tendenza nata attorno al London Style dell’epoca, beh, tutto è venuto da sè. Questo ha permesso a un buon numero di guitar-bands di saltare sul fantastico carro della “Cool Britannia” e di godersi il viaggio. C’era uno zeitgeist di look e stile a quel tempo, nessuno di noi si copiava, avevamo tutti idee simili allo stesso tempo, come succede per essere cresciuti con le stesse esperienze e influenze storiche. Il Britpop non ha mai veramente catturato l’America, c’era un vago interesse, da parte di un gruppo di anglofili molto ben disposti, ma l’America aveva un vero grunge non una specie di art rock come noi o di molti altri pretenziosi britboys di Camden. Lamentele a parte, è stato un periodo veramente incredibile. Londra era, per qualche ragione, il centro prescelto dell’universo mediatico, Londra era il centro del Britpop, quindi c’erano momenti in cui ci si chiedeva veramente se non si fosse al centro dell’attenzione di tutto il mondo. Forse era così? Quello era probabilmente più un discorso di ego che la verità , eppure era davvero un periodo selvaggio.

Non ricordo più dove, forse mi sbaglio, ma mi sembra che non ti dispiacesse associare la parola grunge alla musica dei Longpigs (sicuramente ti piaceva più la parola grunge che il Britpop, credo). Naturalmente con il secondo album l’aspetto delle chitarre rumorose e sporche è decisamente diminuito, come mai?
Sì, ho sempre voluto che i Longpigs fossero i Pavement inglesi (nei miei sogni), pensavo che fossimo art-grunge, ma è successo quanto dicevo sopra e ci siamo accontentati a malincuore. “Mobile Home” stava cercando di muoversi in qualcosa di diverso, più lirico, ma eravamo esausti dopo aver girato gli Stati Uniti per due anni e la musica e lo scioglimento lo riflettono.

Il tuo miglior ricordo e il più brutto legato al primo album dei Longpigs?
Tanti di entrambi, ma la volubilità  della stampa è sempre divertente e illuminante. Il Times scrisse una recensione entusiasmante dell’album il venerdì, mentre il Sunday Times ci ha bollati, la stessa settimana, come “sixth-form poetry” (frase fatta inglese che indica una scrittura ambiziosa ricca di metafore ma inconcludente a causa della giovinezza / immaturità  dello scrittore, ndt). Il bello è che il testo che hanno evidenziato come “provinciale e, appunto, sixth-form poetry” è stato rubato a Lorca. Credo di poterlo ammettere ora.

Ascoltandolo (sempre ammesso che tu lo faccia), dopo tutti questi anni, come trovi il primo album dei Longpigs? C’è un singolo o una canzone che preferisci? Posso confessare che secondo me canzoni come “Juicy” e “Whiteness” avrebbero meritato di essere presenti nell’album e non essere semplici b-side?
Molto gentile da parte tua. Ci è sempre piaciuto fare b-side, è sempre stata una buona occasione per sperimentare. Io non ascolto i Longpigs…come con tutti gli artisti, tutto quello che sento sono gli errori.

Come mai “Beyond Good and Evil” non è mai stato pubblicata? è una canzone magnifica!
Di nuovo grazie per la tua gentilezza. Ce l’ho nella manica per un altro artista.

Puoi dirci perchè l’esperienza con i Gramercy non è mai veramente iniziata? è vero che c’era un disco completo pronto per essere pubblicato?
Sì, abbiamo fatto un disco, ma non ci abbiamo messo il cuore. Ci siamo tutti distratti, scrivendo per gli altri e questo è diventato un processo più creativo perchè non si è limitati dalla propria immagine di sè e poi si possono indossare costumi diversi, così come recitare, inventare e usare altre voci…è liberatorio.

Battaglie per avere più diritti d’autore da YouTube e Spotify, ora la difficile situazione con il Covid-19 che impedisce le performance dal vivo. Sembra che per i musicisti, negli ultimi anni, le cose non siano migliorate, anzi! Se dovessi fotografare il sistema attuale, ti sentiresti pessimista o intravedi barlumi di speranza anche nell’emergenza?
Vedo speranza, sicuramente, ma è tempo che il settore si disintossichi e si rigeneri. Il Covid ha dato “a chi crea” il tempo e lo spazio per fare un passo indietro e considerare il proprio mondo. I creatori di musica sono sempre stati pagati con le briciole del tavolo del music business, ma quando quelle erano le briciole di un CD da 15 sterline, se ne vendevi abbastanza, beh, potevi mangiare e pagare l’affitto…ora quelle che si trovano sono le briciole di un giro di affari da 0,003 sterline ad ascolto. Come per l’eccellente serie della BBC “re-think”, è il momento di ripensare alla musica e a come viene sfruttata. Gran parte dell’industria musicale si comporta ancora come se fosse un’industria manifatturiera, quando in realtà  è un’industria di marketing. Le azioni agli artisti devono riflettere i cambiamenti e il progresso e lo streaming deve fornire una remunerazione proporzionata a chi fa musica, non solo a chi la vende.

Da molto tempo, Crispin, sei impegnato su questi argomenti, puoi parlarci dei tuoi interventi in sede europea e della recente campagna “Keep Music Alive”?
Sì, come molti musicisti mi preoccupo dell’ineguaglianza e la musica ne è piena. Credo nel meccanismo del cambiamento democratico e che tutti abbiano il potere di essere coinvolti e provare a cambiare le cose in meglio. Quindi mi sono sentito ispirato nell’ essere coinvolto nell’aspetto “politico” della musica, e ora è mio vanto presiedere l’Ivors Academy, il più grande ente commerciale del Regno Unito per scrittori e compositori. Combattiamo collettivamente per dare più potere a chi crea musica e alla prossima generazione di chi farà  di musica. Il “problema” principale per la musica è che la maggior parte è disponibile gratuitamente online. Ma, se da una parte è meraviglioso che la musica sia goduta in questo modo (e la maggioranza dei musicisti lo fa per farsi sentire, non certo per i soldi), dall’altra i musicisti hanno ancora bisogno di mangiare per poter produrre quella stessa musica che la gente ama. Tutta la ‘creatività ‘ ha anche responsabilità  politiche. Non è decorativa. Parte dell’essere un creativo è che si entra in un discorso pubblico. E’ un discorso che comporta un rischio di dissonanza. Sicuramente la politica ha bisogno di musicisti, infermieri, insegnanti ecc., tanto quanto ha bisogno di avvocati e imprese.
In Europa, parlo dell’ EU, hanno iniziato a considerare quanta parte del valore della creatività  europea venisse parassitariamente presa dai Giganti Tecnologici Americani, in particolare da YouTube. Questo è definito come ‘divario di valore’: i creativi generano ‘valore’ (economico e non, ndt) ma altri ne usufruiscono, senza condividere con chi lo ha fatto. YouTube è il servizio di streaming più grande e migliore del pianeta, ma fingono di essere un servizio promozionale. Non esiste una promozione online, cosa c’è da promuovere? I CD non esistono, ora tutto è già  distribuito. Internet è l’unica forza in grado di unificare, governare e legare il globo, ma è diventato il meccanismo centrale di un nuovo tipo di autoritarismo, uno molto più sottile delle tensioni del 20 ° secolo, poichè l’argomento Internet gratuito ora funge da foglia di fico per onnipotenti interessi corporativi.
Il vecchio diktat “vendi magliette e fai concerti, tutto il denaro è nei live” è uno scherzo. Uno spettacolo ha bisogno di 1.500 spettatori a data per sostenere 4 musicisti. Lavoro con artisti che hanno 10 milioni di visualizzazioni su YouTube e scopro che è l’equivalente di 20 persone in un live a Norwich. Quelli di YouTube sono dei luddisti digitali (il luddismo è stato un movimento di protesta operaia, sviluppatosi all’inizio del XIX secolo in Inghilterra, caratterizzato dal sabotaggio della produzione. In gergo luddista è chi si mostra contrario al progresso, ndt): pensano che il valore del lavoro creativo risieda nel suo mezzo fisico. Il valore delle idee è nell’idea, non nell’oggetto in cui è intrappolato. YouTube ha usato la “libertà  di parola” come uno strumento complicato dell’impero, al fine di manipolare i propri follower nella lotta per gli interessi commerciali di Google. Anche la parola “follower” suona come una setta.
Anche se l’articolo 13 della direttiva sul diritto d’autore dell’UE (in particolare, questo articolo prescrive che i contenuti caricati online all’interno dell’UE debbano essere verificati preventivamente, in modo da impedire che possano essere messi online materiali protetti dal diritto d’autore, ndt) uccide YouTube (ma non lo farà ), proprio come nel caso di Myspace, qualcosa di meglio e di più giusto ne colmerà  rapidamente il vuoto. Non vedo l’ora, perchè YouTube non funziona per chi crea qualcosa. Dove sono tutte le nuove band che escono dalla visibilità  offerta da Youtube? Tutti gli headliner dei festival sono della mia età  o più vecchi. Il modello attuale è proprio carente per il futuro.
Ma per fortuna, dopo una dura battaglia l’UE ha concordato con i creativi e votato per rendere YouTube responsabile: quando trae profitto dal lavoro di altri, deve pagarli. Finalmente. Proprio come Facebook fa miliardi raccogliendo clic sull’odio: questo tipo di comportamento deve finire, per il bene del pianeta.
La campagna “Keep Music Alive” è simile, solo che riguarda il secondo ‘divario di valore’: le persone che creano musica non ricevono buona parte del valore che creano. Lo streaming deve adattarsi, perchè è un mercato in crisi. Se chi fa musica non è pagato abbastanza, beh, smette di produrre: non avremmo più musica e l’industria ne morirebbe. è di un’ovvietà  lampante, ma ci sono alcune persone e potenti società  che traggono profitto da un sistema poco chiaro. Siamo determinati a cambiarlo ed è importante che tutti abbiano una voce. Pensi che i soldi che paghi dovrebbero andare alla musica che ascolti, giusto? Con lo streaming non è così. E questo è offensivo.

Non so molto di economia, ma posso dire che, oggi, sempre più etichette (e forse anche musicisti) corrono il rischio di doversi interessare più alle questioni economiche che a quelle musicali? O mi sbaglio?
Hai ragione, ma è sempre stato così, però, nonostante questo, in certi momenti la musica con un vero intento dietro è diventata proprio quello che la gente voleva: i fan sono al posto di guida.

Posso essere brutale? Ma se i costi di Spotify, per esempio, dovessero aumentare (anche significativamente), il sistema, secondo te, crollerebbe?
No, non credo. Tutta la musica in un mese al prezzo di una pizza da Domino’s. è un affare. Deve salire…o la pizza peggiorerà , per così dire. I fan che amano la musica vogliono che i loro soldi vadano alla musica che amano. Una volta che Keep Music Alive avrà  successo allora la gente, spero, si accontenterà  di pagare un po’ di più per la musica. Forse il prezzo di una pizza e di una bibita, capisci?

Ora la musica online è il presente. Ma è bello vedere che il vinile è tornato in voga e c’è chi pubblica ancora le audiocassette. Quale futuro prevedi per i cd o per la musica su supporto fisico?
Il vinile è più bello e, in più, suona meglio, ma è un oggetto commerciale. Lo streaming è il futuro, ecco perchè deve nutrire l’intero ecosistema futuro.

Grazie ancora Crispin per la tua gentilezza. Per concludere ti faccio un’ultima domanda. Ma, dopo tutti questi anni, non hai mai voluto tornare sul palco con una band?
Mi è davvero dispiaciuto, per molto tempo, non suonare, ma poi ho capito che potevo lavorare con artisti nuovi, brillanti e stimolanti, per aiutarli a sviluppare la loro creatività  e, per delega, esprimere il mio modo di comunicare. Si tratta proprio di comunicare qualcosa, non di applausi. Amo quello che faccio adesso…in più è meglio lasciare ai Longpigs un ricordo brillante, con una musica viva, piuttosto che rincorrere il passato, nella vana speranza di dare nuova vita a qualcosa che è già  vivo. Grazie a Dio.

Speriamo di risentirci per una futura ristampa in vinile di “Mobile Home”!
Sarebbe bello, è un disco che adoro.

(Grazie al contributo di Federica Stanca in fase di traduzione e a Stefano Bartolotta per l’ispirazione di una domanda)

Photo by Mark Allan