Immaginateveli, venti anni fa ““ fa quasi spavento rendersene conto ““, agli albori del nuovo millennio, i fan dei Radiohead che cominciano ad ascoltare il quarto album della band. Non c’era nessun singolo ad anticipare “Kid A”, a parte i cosiddetti blips, brevi e criptici videoclip, una sorta di vedo non vedo quasi a lasciare sadicamente che la fame salisse, che la curiosità  e le aspettative divorassero le menti. Chi prima, scaricando le tracce pubblicate su Napster, chi dopo, i fedeli che hanno atteso rigorosamente l’uscita del CD originale, voi immaginateli nell’istante in cui partono le prime note di “Everything In It’s Right Place”.

Con la pressione di un dito sul “play” si sono ritrovati, senza immaginarselo, nel dolore di Thom Yorke. Lui e la band hanno composto i brani di “Kid A” dopo il burnout che li ha coinvolti durante il tour di “OK Computer”, e dal quale specialmente il frontman è uscito in mille pezzi, ricavandone un blocco dello scrittore durato anni. L’album del ’97, tutt’ora considerato uno dei massimi picchi artistici dei Radiohead e prima vera e propria rivoluzione nel loro sound, aveva fatto il botto. Scalavano le classifiche mondiali, i “weirdos” stavano conquistando tutti. Forse troppo. I ragazzi cominciavano a fare fatica nel reggere il peso del tour, delle interviste e della popolarità . Tutto ciò è visibile in “Meeting People Is Easy”, documentario che ci mostra il dietro le quinte dell’Against Demons Tour e quanto i membri della band faticassero a interagire con la stampa, visibilmente stressati. Così hanno lasciato che fossero le macchine a parlare per loro, sintetizzatori e drum machine per esprimere il tormento, lasciando un po’ da parte le chitarre e il rock, così come l’avevano inteso fino a quel momento.

“Everything In It’s Right Place” rappresenta alla perfezione quanto stava accadendo a Thom, non a caso è la prima canzone che ha scritto per l’album, il reflusso spontaneo di ciò che aveva dentro, il disagio del non trovarsi nel posto giusto ma la voglia di rimettere a posto tutto e rientrare in connessione col mondo.
L’ansia impregna i brani. Il carillon inquietante e spaziale che introduce la title track suona per il “bimbo A” del suo titolo. La voce di Thom si fa sempre più fittizia e impersonale, il cantato è modulato sulle frequenze dell’Onde Martenot suonato da Jonny Greenwood e a stento si riescono a capire le parole, quasi a usarle semplicemente come suoni e togliere il fuoco dal loro significato; fino alla conclusione con quello che sembra quasi il pianto — elettronico, si intende — del Kid A.

Poi l’apatia si trasforma nel caos mentale di “The National Athem”, con il suo ipnotico loop di basso, composto da Yorke quando aveva 16 anni, e l’esplosione di trombe in stile free jazz, così frenetiche da stordire totalmente. Una tempesta che precede la quiete di uno dei brani più emozionali che i Radiohead abbiano mai concepito, “How To Disappear Completely”. Ascoltiamo la realizzazione in musica del mantra che l’amico Michael Stipe (R.E.M.) aveva consigliato a Thom di ripetersi nei momenti più bui: “I’m not here, this isn’t happening“. L’inno alla solitudine. Una poesia leggera e fatta di suoni, quasi un’esperienza extracorporea. Da qui per i successivi tre brani, ad esclusione dell’intermezzo ambient “Treefingers”, tornano le chitarre, una voce più naturale, vengono abbandonate le sovrastrutture elettroniche per un po’, tra la più classica “Optimistic” con i versi del ritornello regalati da Rachel, l’ex moglie di Thom, purtroppo deceduta qualche anno fa, e le onde ritmiche di “In Limbo”.

L’olocausto nucleare dipinto dalla martellante “Idioteque” segna il ritorno dell’elettronica pura, ricca e perfetta nella sua confusione, mentre “Morning Bell” ci fa da ponte diretto con l’album che sarebbe uscito soli otto mesi dopo, nel quale troviamo una versione più solenne dello stesso brano. “Amnesiac” è strettamente connesso a “Kid A”, è il suo gemello meno spigoloso, ma non per questo meno cupo, composto da pezzi realizzati nello stesso periodo ma troppo importanti per far parte di una raccolta di B-sides.

Il quarto album dei Radiohead termina con la trasposizione della nostalgia e della meraviglia in un colpo solo, “Motion Picture Soundtrack”. Un organo rende l’aria polverosa, la voce è sofferente e avvolta dal suono di un’arpa ed echi di un canto lirico, minimalismo e barocco. Infine le parole “I will see you in the next life” ritagliano la straziante conclusione del pezzo.
è assurdo come il blocco di Thom  e la sua depressione, abbiano prodotto tutto ciò, trasformando il malessere in un incanto capace di racchiudere l’ampio spettro di emozioni che paradossalmente si celano dietro all’apatia. Nonostante l’apparente cinismo e la freddezza dell’abbondante elettronica impiegata, spicca un lato decisamente umano.

Non c’è che dire, vent’anni portati splendidamente da un disco che già  all’epoca veniva dal futuro e che tutt’ora è considerato uno dei capisaldi della musica contemporanea. Con “Kid A” i Radiohead si sono rivelati visionari, eclettici e soprattutto veri. Capaci di mixare stili con il coraggio di chi ama sfidare la normalità  e non è interessato a barattare se stesso e la propria interiorità , seppur scomoda, per il successo.

Pubblicazione: 2 ottobre 2000
Durata 49:51
Dischi: 1
Tracce: 10
Genere: Rock alternativo, Indietronica, Post-rock
Etichetta: EMI, Parlophone, Capitol
Produttore: Nigel Godrich, Radiohead
Registrazione: gennaio 1999 ““ aprile 2000

Tracklist:

Everything in Its Right Place ““ 4:11
Kid A ““ 4:44
The National Anthem ““ 5:50
How to Disappear Completely ““ 5:55
Treefingers ““ 3:42
Optimistic ““ 5:16
In Limbo ““ 3:31
Idioteque (Radiohead, Paul Lansky, Arthur Kreiger) ““ 5:09
Morning Bell ““ 4:29
Motion Picture Soundtrack