Ogni celebre band che si rispetti ha il suo underdog album, un lavoro che, a spesso a posteriori, si possa considerare sottovalutato.

Nel caso dei Green Day non ho dubbi nell’individuarlo: questo risponde al nome di “Insomniac”, disco che proprio oggi va a spegnere venticinque candeline.

Era infatti il 10 ottobre 1995 quando il terzetto capitanato dal carismatico Billie Joe Armstrong (e completato dalla potente sezione ritmica formata dal bassista Mike Dirnt e dal pirotecnico batterista Trè Cool) diede alle stampe il successore di “Dookie”, autentico best seller e asso pigliatutto della scena musicale dell’epoca.

Già , quando un album ha il compito (oltre che l’onere) di replicare il successo precedente (o quanto meno di provarci), spesso rischia di andare incontro a una cocente delusione, in termini di vendite o anche puramente artistici.

Ecco, se – carta canta – è innegabile che “Insomniac” sia stato un autentico flop a livello commerciale rispetto al predecessore (pur arrivando a lambire il punto più alto del podio nella classifica di Billboard, eguagliandone di fatto l’exploit iniziale), dall’altra parte sarebbe assolutamente ingeneroso bollarlo come un album di serie B, perchè anzi, qualitativamente parlando, le quattordici schegge impazzite che lo compongono non fanno di certo rimpiangere le corrispettive sorelle presenti in “Dookie”.

Pur pubblicato solamente un anno dopo, nonostante dal punto di vista musicale ne replichi le fragorose istanze (pop) punk, “Insomniac” in realtà  nasconde un animo più duro, oscuro, viscerale, dove il compromesso con la patina commerciale (assai criticato dai loro fans della prim’ora che in modo esplicito ne presero le distanze, tacciando il gruppo di essersi venduto al sistema mainstream) viene decisamente meno, abbattuto da un suono granitico: prova ne è l’incalzante singolo “Geek Stink Breath”, lontana parente di quella “When I Come Around” che aveva fatto storcere il naso agli appassionati punk più intransigenti.

Non sarà  quello l’unico episodio rabbioso, dove anche le liriche non tradiscono uno stato d’animo disilluso e una condizione veramente amara (ma anche arrabbiata) da parte della band, la quale lungi dal voler rimettere in discussione il livello artistico raggiunto, non aveva certo ben digerito certe critiche invero un po’ ingenerose. Pensiamo ad esempio alla ritmica e irruente “Brain Stew”, alla scarica elettrica di “86” o alla velocissima “Tight Wad Hill”, dall’irresistibile drumming. Una canzone come “Panic Song”, inoltre, se da un punto di vista musicale concede assai poco alla melodia, molto dice invece del momento vissuto dal leader Billie Joe giunto da poco all’apice del successo, con conseguente doloroso contrappasso psicologico.

Detto ciò, è giusto sottolineare anche quelli che sono i (tanti) punti di contatto con “Dookie”, riscontrabili nelle fantastiche melodie a presa diretta dell’opener “Armatage Shanks” e delle successive “Brat” e “Stuck with Me”, entrambe ficcanti e genuinamente arrembanti; nell’intensità  e nell’impatto di episodi meno condizionati da pressioni esterne come “Westbound Sign” o “Stuart and the Ave.” che sembrano voler recuperare addirittura lo spirito dei primi tempi, quando erano poco più che adolescenti folgorati sulla via del punk rock; e più in generale nell’inalterato impeto dei Nostri che ancora una volta riescono a chiudere ogni brano sotto i tre minuti (eccezion fatta per “Brain Stew”, compensata dalla fulminante “Jaded”, della durata di un minuto e mezzo).

Ricordo che all’epoca anch’io (come tantissimi diciottenni di tutto il mondo folgorati dall’ascesa imperiosa dei Green Day), rimasi un po’ freddino nei confronti di “Insomniac”, tanto che credevo che i tre avessero fatto il giochino di battere il ferro finchè era caldo, visto che “Dookie” ancora stava stazionando ai piani alti delle charts e i suoi singoli più famosi giravano un po’ ovunque… mi chiedevo a conti fatti se fosse necessario tornare subito sul mercato con un prodotto nuovo di zecca, ponendomi il dubbio sulle reali intenzioni e l’autenticità  di questi brani.

Col senno di poi, mi rendo conto che molto probabilmente proprio il disco in questione, che oggi omaggiamo, rappresenta nel modo più sincero ciò che il gruppo stava vivendo in quel momento sulla propria pelle, schiacciato da aspettative davvero troppo grandi.

Tutte le canzoni di “Insomniac” sono mosse da un’urgenza comunicativa che appare più opprimente rispetto ai lavori precedenti: ciò magari ha inciso sull’efficacia e sulla qualità  generale del disco ma rimane appunto una testimonianza credibile e necessaria del loro percorso musicale.

Green Day ““ Insomniac
Data di pubblicazione: 10 ottobre 1995
Tracce: 14
Lunghezza: 32:55
Etichetta: Reprise Records
Produttore: Rob Cavallo, Green Day

Tracklist
1. Armatage Shanks
2. Brat
3. Stuck with Me
4. Geek Stink Breath
5. No Pride
6. Bab’s Uvula Who?
7. 86
8. Panic Song
9. Stuart and the Ave.
10. Brain Stew
11. Jaded
12. Westbound Sign
13. Tight Wad Hill
14. Walking Contradiction