Immaginate di avere più di settant’anni, aver alle spalle ventisette album in studio e una carriera da vera e propria icona del rock, tra concerti strapieni e copertine, tutte sempre segnate dall’inconfondibile immagine Glam. Immaginate di essere Alice Cooper e dopo gli ultimi successi, tra gli ottimi Hollywood Vampires e l’EP “Breadcrumbs”, sentire ancora il fuoco dentro, la voglia di dire qualcosa di nuovo, di farlo alla propria maniera. Perchè non poteva non esserci in questo nuovo decennio un suo album, un segno del suo passaggio.

Il 26 febbraio è uscito “Detroit Stories”, il nuovo album di Alice Cooper, dopo l’annuncio dello scorso novembre e l’arrivo dei primi singoli. Un album che è un ritorno a casa, un tributo in musica e parole alla sua Detroit, ma anche alla sua lunga carriera, a tutti i mondi toccati e vissuti, suonati da solo o quando con il nome Alice Cooper si chiamava ancora una band. Quella band che era stata presa ormai più di cinquant’anni fa dall’allora giovane produttore Bob Ezrin, che ritorna qui dietro il mixer, a giostrare la band superlativa di musicisti di Detroit che suona su questo disco, a fianco di Cooper, per fare un disco come si faceva una volta.

Perchè questo album, composto da ben 15 brani alla faccia di tutte le logiche odierne, tra canzoni inedite e reinterpretazioni, è un mix esplosivo di musica da vecchia scuola, un viaggio a ritroso tra tutte le sonorità  che han reso Cooper una leggenda vivente, alla faccia di tutti i detrattori che ancora oggi lo considerano nient’altro che un miracolato.

A render chiaro tutto questo ci pensa fin da subito la prima traccia e primo singolo estratto, la cover di “Rock and Roll” dei Velvet Underground. Una reinterpretazione ben riuscita, che prende le sembianze di Alice, tra tastiere e l’hard rock che non teme d’esser tale, presente anche in brani come “Go Man Go” e “Shut up and Rock”. Ma se questi sono esempi che ben incarnano nello stile e nell’attitudine quello che ci si aspetterebbe da un album di Cooper, discorso diverso va fatto per brani come “Drunken and in Love” e “Our Love Will Change The World”. Il primo è un blues vecchia scuola, triste e cadenzato, amaro al punto giusto, impreziosito come da tradizione da un bellissimo solo di armonica a bocca. Il secondo è a detta dello stesso Alice uno dei brani più particolari della sua produzione: “Penso che “Our Love Will Change The World” sia una delle canzoni più strane che abbia mai fatto ed è uno di quei pezzi che ci sono arrivati da qualcun’altro, un altro scrittore di Detroit. Ed è stato così strano, perchè  era felice ma ciò che diceva non era per nulla felice, era semplicemente un’ottima contrapposizione. Lo capii immediatamente e dissi “ok, sarà  grandioso”. Amo quella canzone perchè  la musica dice una cosa, mentre il testo un’altra. è veramente diversa da qualsiasi cosa presente nell’album”.

In conclusione “Detroit Stories” è un disco che riesce nel difficile compito di riproporre sound e atmosfere del passato senza risultare vecchio o già  sentito, ma vivo, vero, e un ottimo ascolto per chiunque abbia voglia d’immergersi in quel rock autentico che troppo spesso, oggi giorno, si fa fatica a trovare.

Credit Foto: Rob Fenn